Vivere la Spiritualità Salesiana: Borgo Don Bosco per la casa di famiglia Alessandro Iannini
Sono salesiano cooperatore, psicologo responsabile area rimettere le ali Borgo Ragazzi Don Bosco.
Il Borgo Ragazzi don Bosco apre nel 1948 nel quartiere di Centocelle a Roma per accogliere gli sciuscià, gli orfani di guerra, che i salesiani come fece don Bosco a Torino, raccoglievano dalla strada. Io sono cresciuto al Borgo, sono nato nel quartiere e ho cominciato a frequentare l’oratorio. Poi sono diventato animatore e molto presto cooperatore con l’allora mia fidanzata Agnese anche lei animatrice. Avevo 24 anni e lei appena 20. Nel nostro discernimento guidato da un salesiano che era la nostra guida spirituale sentivamo di voler crescere e vivere come coppia e come famiglia l’essere salesiani fino in fondo e sentivamo di volerci dedicare soprattutto ai ragazzi più svantaggiati. Per questo abbiamo iniziato a collaborare con il centro accoglienza per minori sottoposti a provvedimenti penali alternativi al carcere, per questo mi sono laureato in psicologia. Dopo due anni ci siamo sposati e siamo partiti con il VIS come volontari internazionali. Ci hanno inviato in Albania con una comunità educativo-pastorale formata da sdb, fma e volontari. Siamo stati lì due anni in cui abbiamo vissuto le difficoltà della guerra civile ma anche i miracoli compiuti dall’applicazione del sistema preventivo a ragazzi prima senza Dio e senza una guida. Nel pericolo ci sentivamo realmente come “bimbi in braccio a sua madre”. Al rientro non avevamo ancora idea di cosa avremmo fatto, sapevamo che volevamo continuare a vivere con questo spirito. Stava nascendo il primo dei nostri 4 figli. Ci siamo affidati e camminando si è aperto il cammino.
Questa premessa è necessaria perché quello che è ora il mio lavoro al Borgo nasce da una esperienza di vita, nasce da un mandato missionario, nasce da un sogno che Don Bosco ha messo dentro il mio e il nostro cuore. Alla fine degli anni ’90 la comunità salesiana del Borgo Ragazzi Don Bosco su mandato dell’Ispettoria ha cominciato a ripensare al propria presenza al borgo cercando di riscoprire la fedeltà al mandato originario: occuparsi dei ragazzi più poveri con uno stile ovviamente adatto ai tempi. Con un gruppo di sdb e laici ci abbiamo studiato e pregato due anni al termine dei quali con l’intervento della Provvidenza abbiamo aperto una casa famiglia per adolescenti con i percorsi di semi-autonomia, un movimento di famiglie affidatarie e solidali, un centro di ascolto psicologico e, nel 2008 anche il centro diurno che era alla stazione Termini e nel quale ormai operavano un gruppo di operatori esperti e con cuore salesiano si è trasferito al Borgo.
Attualmente in quella che abbiamo chiamato area “Rimettere le ali” accogliamo ogni anno più di 200 ragazzi in difficoltà, vi lavorano circa 30 educatori e più di 100 volontari. Queste attività specifiche per il disagio sono collegate con il resto dell’opera, l’oratorio che è il cuore eil centro di formazione professionale.
Ogni giorno facciamo esperienza di quanto dice S.Paolo nella lettera agli Ebrei ricordando l’esperienza fatta da Abramo e Sara: “non dimenticate l’ospitalità, qualcuno praticandola ha accolto degli angeli senza saperlo” (Eb 13,2). E’ divenuto il nostro motto e contempliamo questa verità accogliendo ragazzi e ragazze ma anche tanti volontari e famiglie affidatarie che si mettono in gioco accogliendo anche nella intimità della propria casa chi è in difficoltà. Ci siamo resi conto che Don Bosco e Maria Ausiliatrice conducono a noi anche ragazzi che li hanno già conosciuti e incontrati nei loro paesi di origine! Qualche tempo dopo, l’accoglienza abbiamo saputo che il ragazzo che era già un figlio di Don Bosco!
Al Centro Accoglienza iniziamo la giornata con tutti gli operatori leggendo il Vangelo del giorno e un brano tratto dal libro indicato per l’anno formativo salesiano. Uno di noi a turno lo commenta poi affidiamo a Maria e al Signore la giornata, i ragazzi e i progetti e ci diamo gli incarichi operativi. Quante volte abbiamo potuto contemplare che quanto vissuto, sperimentato, sofferto e realizzato da Don Bosco può essere collegato, con le dovute proporzioni, con quanto viviamo noi oggi. A cominciare dai suoi sogni, dal suo entusiasmo e fermezza nel fare ad ogni costo del bene per i ragazzi. A noi il compito di andare incontro alle giornate sapendo che il Signore si manifesta negli accadimenti quotidiani. Nella stanza operatori abbiamo appeso l’art.19 delle costituzioni salesiane: “Il salesiano è chiamato ad avere il senso del concreto ed è attento ai segni dei tempi, convinto che il Signore si manifesta anche attraverso le urgenze dei momento e dei luoghi. Di qui il suo spirito di iniziativa: “Nelle cose che tornano a vantaggio della pericolante gioventù o servono a guadagnare anime io corro avanti fino alla temerità”.
Mi sto sempre più rendendo conto che se don Bosco fosse stato un grande educatore ma non un uomo di fede, non un santo, non sarebbe stata la stessa cosa. L’incontro quotidiano con persone spesso in situazioni estreme mi interroga infatti come educatore, psicologo, ma soprattutto come persona e come credente in Cristo Risorto. Mi interroga e mi costringe a cercare le radici della mia Fede per poter rendere ragione della speranza verso la quale cerco di condurre chi si sente senza via di uscita. Ma senza la Fede e senza la Speranza come potrei, mi chiedo spesso, credere nella possibilità che ogni giovane può cambiare la propria vita? Credere che in ogni giovane – si anche in questo che ho davanti a me e che guardo negli occhi e che ne combina di tutti i colori nonostante i tanti tentativi falliti – c’è un punto accessibile al bene? Che anche nelle cosiddette mele marce ci può essere un seme buono?
E’ nella relazione costante con Dio che Don Bosco ha trovato la forza, la ragione, la motivazione. E’ attraverso la relazione con Dio e sentendomi da Lui amato in modo unico che scopro che l’altro è mio fratello, è mia sorella e che vale la pena investire ogni giorno nell’amare mio fratello e mia sorella in modo unico e, nell’incontrare l’altro, incontro Dio. Sto scoprendo che Don Bosco ha costituito una comunità perché solo nella relazione comunitaria possiamo celebrare l’incontro quotidiano con Dio.
I ragazzi più difficili costituiscono una sfida per la nostra fede, il limite alla loro accoglienza è nella nostra capacità di accoglierli, una capacità che vediamo che cresce nella misura in cui ci affidiamo a Colui che questi ragazzi li ha amati per primo e che ce li ha affidati. E i nostri ragazzi diventano così i nostri maestri perché nei loro occhi intravediamo lo sguardo di Dio. Attraverso di loro incontriamo anche Lui. Nei loro sogni intravediamo il progetto di Dio per di loro. Camminando con loro veniamo costantemente stimolati a crescere nella capacità di amare, a crescere nella Fede e nella Carità.
Non abbiamo nessuna esperienza con le pecore e con i pastori ma meditando sui progetti educativi personalizzati dei nostri ragazzi in casa famiglia nel cercare e ricercare le strategie per aiutare i nostri ragazzi scopriamo l’amore personalizzato di Gesù Buon Pastore e la grandezza di Don Bosco che lo ha scelto come icona per i suoi salesiani chiamati ad amare ciascuno proprio come lo ama Dio.
La sfida è poi passare dall’accoglienza incondizionata e dall’amore dimostrato che arriva ai ragazzi come interesse alla loro persona e alla loro storia, alla preparazione all’incontro con Dio. Anche su questo D.Bosco è stato un maestro: ci stiamo rendendo conto – anche sulla spinta delle ultime strenne del Rettor Maggiore – che vale la pena osare.
I ragazzi ci sentono pregare per loro al mattino, gli parliamo di Dio e ci interessiamo alla loro appartenenza religiosa durante la fase di accoglienza con naturalezza come ci interessiamo agli altri aspetti della loro storia. Li invitiamo a vivere le feste salesiane, a mandare un sms a Don Bosco a interrogarsi nei gruppi sulla fede e questi piccoli semi preparano il terreno. E’ lo Spirito che poi suggerisce a loro e a noi la strada. A volte occorre aspettare e cogliere le occasioni per passare dalla testimonianza all’annuncio.
Si vivono insieme i ritiri spirituali coinvolgendo anche i ragazzi, si invita a comprendere che educhiamo anche con le nostre parole e con la nostra azioni, ma soprattutto educhiamo con quello che siamo, con i valori che abbiamo dentro e che traspirano o non traspirano indipendentemente da quanto facciamo. E’ stando con i ragazzi, semplicemente e pazientemente stando, possiamo cogliere le occasioni che si presentano per arrivare al loro cuore.
Siamo sempre più testimoni consapevoli che attraverso Don Bosco e i suoi figli la Provvidenza ha compiuto miracoli su miracoli e oggi tocca a noi, nel nostro piccolo, continuare con lo stesso atteggiamento e la stessa Fede: i ragazzi e le famiglie non sono nostri, le opere non sono le nostre ma noi siamo strumenti, attraverso il contributo quotidiano di ciascuno, il carisma di Don Bosco e le Memorie dell’oratorio continueranno… Altri capitoli, altri volumi, gli stessi Protagonisti: la Provvidenza, Maria Ausiliatrice, Don Bosco… i ragazzi!
Sono salesiano cooperatore, psicologo responsabile area rimettere le ali Borgo Ragazzi Don Bosco.
Il Borgo Ragazzi don Bosco apre nel 1948 nel quartiere di Centocelle a Roma per accogliere gli sciuscià, gli orfani di guerra, che i salesiani come fece don Bosco a Torino, raccoglievano dalla strada. Io sono cresciuto al Borgo, sono nato nel quartiere e ho cominciato a frequentare l’oratorio. Poi sono diventato animatore e molto presto cooperatore con l’allora mia fidanzata Agnese anche lei animatrice. Avevo 24 anni e lei appena 20. Nel nostro discernimento guidato da un salesiano che era la nostra guida spirituale sentivamo di voler crescere e vivere come coppia e come famiglia l’essere salesiani fino in fondo e sentivamo di volerci dedicare soprattutto ai ragazzi più svantaggiati. Per questo abbiamo iniziato a collaborare con il centro accoglienza per minori sottoposti a provvedimenti penali alternativi al carcere, per questo mi sono laureato in psicologia. Dopo due anni ci siamo sposati e siamo partiti con il VIS come volontari internazionali. Ci hanno inviato in Albania con una comunità educativo-pastorale formata da sdb, fma e volontari. Siamo stati lì due anni in cui abbiamo vissuto le difficoltà della guerra civile ma anche i miracoli compiuti dall’applicazione del sistema preventivo a ragazzi prima senza Dio e senza una guida. Nel pericolo ci sentivamo realmente come “bimbi in braccio a sua madre”. Al rientro non avevamo ancora idea di cosa avremmo fatto, sapevamo che volevamo continuare a vivere con questo spirito. Stava nascendo il primo dei nostri 4 figli. Ci siamo affidati e camminando si è aperto il cammino.
Questa premessa è necessaria perché quello che è ora il mio lavoro al Borgo nasce da una esperienza di vita, nasce da un mandato missionario, nasce da un sogno che Don Bosco ha messo dentro il mio e il nostro cuore. Alla fine degli anni ’90 la comunità salesiana del Borgo Ragazzi Don Bosco su mandato dell’Ispettoria ha cominciato a ripensare al propria presenza al borgo cercando di riscoprire la fedeltà al mandato originario: occuparsi dei ragazzi più poveri con uno stile ovviamente adatto ai tempi. Con un gruppo di sdb e laici ci abbiamo studiato e pregato due anni al termine dei quali con l’intervento della Provvidenza abbiamo aperto una casa famiglia per adolescenti con i percorsi di semi-autonomia, un movimento di famiglie affidatarie e solidali, un centro di ascolto psicologico e, nel 2008 anche il centro diurno che era alla stazione Termini e nel quale ormai operavano un gruppo di operatori esperti e con cuore salesiano si è trasferito al Borgo.
Attualmente in quella che abbiamo chiamato area “Rimettere le ali” accogliamo ogni anno più di 200 ragazzi in difficoltà, vi lavorano circa 30 educatori e più di 100 volontari. Queste attività specifiche per il disagio sono collegate con il resto dell’opera, l’oratorio che è il cuore eil centro di formazione professionale.
Ogni giorno facciamo esperienza di quanto dice S.Paolo nella lettera agli Ebrei ricordando l’esperienza fatta da Abramo e Sara: “non dimenticate l’ospitalità, qualcuno praticandola ha accolto degli angeli senza saperlo” (Eb 13,2). E’ divenuto il nostro motto e contempliamo questa verità accogliendo ragazzi e ragazze ma anche tanti volontari e famiglie affidatarie che si mettono in gioco accogliendo anche nella intimità della propria casa chi è in difficoltà. Ci siamo resi conto che Don Bosco e Maria Ausiliatrice conducono a noi anche ragazzi che li hanno già conosciuti e incontrati nei loro paesi di origine! Qualche tempo dopo, l’accoglienza abbiamo saputo che il ragazzo che era già un figlio di Don Bosco!
Al Centro Accoglienza iniziamo la giornata con tutti gli operatori leggendo il Vangelo del giorno e un brano tratto dal libro indicato per l’anno formativo salesiano. Uno di noi a turno lo commenta poi affidiamo a Maria e al Signore la giornata, i ragazzi e i progetti e ci diamo gli incarichi operativi. Quante volte abbiamo potuto contemplare che quanto vissuto, sperimentato, sofferto e realizzato da Don Bosco può essere collegato, con le dovute proporzioni, con quanto viviamo noi oggi. A cominciare dai suoi sogni, dal suo entusiasmo e fermezza nel fare ad ogni costo del bene per i ragazzi. A noi il compito di andare incontro alle giornate sapendo che il Signore si manifesta negli accadimenti quotidiani. Nella stanza operatori abbiamo appeso l’art.19 delle costituzioni salesiane: “Il salesiano è chiamato ad avere il senso del concreto ed è attento ai segni dei tempi, convinto che il Signore si manifesta anche attraverso le urgenze dei momento e dei luoghi. Di qui il suo spirito di iniziativa: “Nelle cose che tornano a vantaggio della pericolante gioventù o servono a guadagnare anime io corro avanti fino alla temerità”.
Mi sto sempre più rendendo conto che se don Bosco fosse stato un grande educatore ma non un uomo di fede, non un santo, non sarebbe stata la stessa cosa. L’incontro quotidiano con persone spesso in situazioni estreme mi interroga infatti come educatore, psicologo, ma soprattutto come persona e come credente in Cristo Risorto. Mi interroga e mi costringe a cercare le radici della mia Fede per poter rendere ragione della speranza verso la quale cerco di condurre chi si sente senza via di uscita. Ma senza la Fede e senza la Speranza come potrei, mi chiedo spesso, credere nella possibilità che ogni giovane può cambiare la propria vita? Credere che in ogni giovane – si anche in questo che ho davanti a me e che guardo negli occhi e che ne combina di tutti i colori nonostante i tanti tentativi falliti – c’è un punto accessibile al bene? Che anche nelle cosiddette mele marce ci può essere un seme buono?
E’ nella relazione costante con Dio che Don Bosco ha trovato la forza, la ragione, la motivazione. E’ attraverso la relazione con Dio e sentendomi da Lui amato in modo unico che scopro che l’altro è mio fratello, è mia sorella e che vale la pena investire ogni giorno nell’amare mio fratello e mia sorella in modo unico e, nell’incontrare l’altro, incontro Dio. Sto scoprendo che Don Bosco ha costituito una comunità perché solo nella relazione comunitaria possiamo celebrare l’incontro quotidiano con Dio.
I ragazzi più difficili costituiscono una sfida per la nostra fede, il limite alla loro accoglienza è nella nostra capacità di accoglierli, una capacità che vediamo che cresce nella misura in cui ci affidiamo a Colui che questi ragazzi li ha amati per primo e che ce li ha affidati. E i nostri ragazzi diventano così i nostri maestri perché nei loro occhi intravediamo lo sguardo di Dio. Attraverso di loro incontriamo anche Lui. Nei loro sogni intravediamo il progetto di Dio per di loro. Camminando con loro veniamo costantemente stimolati a crescere nella capacità di amare, a crescere nella Fede e nella Carità.
Non abbiamo nessuna esperienza con le pecore e con i pastori ma meditando sui progetti educativi personalizzati dei nostri ragazzi in casa famiglia nel cercare e ricercare le strategie per aiutare i nostri ragazzi scopriamo l’amore personalizzato di Gesù Buon Pastore e la grandezza di Don Bosco che lo ha scelto come icona per i suoi salesiani chiamati ad amare ciascuno proprio come lo ama Dio.
La sfida è poi passare dall’accoglienza incondizionata e dall’amore dimostrato che arriva ai ragazzi come interesse alla loro persona e alla loro storia, alla preparazione all’incontro con Dio. Anche su questo D.Bosco è stato un maestro: ci stiamo rendendo conto – anche sulla spinta delle ultime strenne del Rettor Maggiore – che vale la pena osare.
I ragazzi ci sentono pregare per loro al mattino, gli parliamo di Dio e ci interessiamo alla loro appartenenza religiosa durante la fase di accoglienza con naturalezza come ci interessiamo agli altri aspetti della loro storia. Li invitiamo a vivere le feste salesiane, a mandare un sms a Don Bosco a interrogarsi nei gruppi sulla fede e questi piccoli semi preparano il terreno. E’ lo Spirito che poi suggerisce a loro e a noi la strada. A volte occorre aspettare e cogliere le occasioni per passare dalla testimonianza all’annuncio.
Si vivono insieme i ritiri spirituali coinvolgendo anche i ragazzi, si invita a comprendere che educhiamo anche con le nostre parole e con la nostra azioni, ma soprattutto educhiamo con quello che siamo, con i valori che abbiamo dentro e che traspirano o non traspirano indipendentemente da quanto facciamo. E’ stando con i ragazzi, semplicemente e pazientemente stando, possiamo cogliere le occasioni che si presentano per arrivare al loro cuore.
Siamo sempre più testimoni consapevoli che attraverso Don Bosco e i suoi figli la Provvidenza ha compiuto miracoli su miracoli e oggi tocca a noi, nel nostro piccolo, continuare con lo stesso atteggiamento e la stessa Fede: i ragazzi e le famiglie non sono nostri, le opere non sono le nostre ma noi siamo strumenti, attraverso il contributo quotidiano di ciascuno, il carisma di Don Bosco e le Memorie dell’oratorio continueranno… Altri capitoli, altri volumi, gli stessi Protagonisti: la Provvidenza, Maria Ausiliatrice, Don Bosco… i ragazzi!
L'urna di don Bosco a Siena il 22 ottobre 2013
Il 1859 costituisce l’Anno di nascita della nostra Congregazione.
Desidero per questo proporre a tutti i Confratelli di vivere il 2009 come un Anno di grazia, ricordando da dove veniamo, chi siamo e dove siamo diretti.
Con questa celebrazione della nostra identità carismatica inizia anche il pellegrinaggio dell’urna di don Bosco in tutte le Regioni della nostra Congregazione e si apre così la preparazione al bicentenario della sua nascita nel 2015
AGGIORNAMENTI: l'Arcivescovo approva l'iniziativa e sarà presente alla celebrazione che si terrà martedi 22 ottobre intorno alle ore 11.30 in San Francesco, per ricordare lavisita di don Bosco del 1887 durante la quale acquistò le parti superiori dell'altare barocco, che stavano per essere sostituite in occasione dei lavori di ristrutturazione della chiesa, in precedenza vittima di un incendio. Con queste parti don Bosco realizzò l'altare maggiore della costruenda chiesa del Sacro Cuore di Roma, che il papa gli aveva chiesto di terminare in un momento di grave crisi finanziaria del progetto.
In quell'occasione si narra che don Bosco si fermasse in preghiera alle Sacre Particole.
ALTRE INIZIATIVE: in occasione della visita son in corso i preparativi per alcune iniziative divulgative dell'opera e della vita del santo: conferenza sul tema dell'educazione, coinvolgimento delle scuole, delle Contrade e di altre agenzie educative, etc.
Chiunque abbia a cuore questa iniziativa, che verrà gestita insieme alla Casa Salesiana di Colle di Val d'Elsa, e/o possa rendersi disponibile per l'occasione è il benvenuto!
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Desidero per questo proporre a tutti i Confratelli di vivere il 2009 come un Anno di grazia, ricordando da dove veniamo, chi siamo e dove siamo diretti.
Con questa celebrazione della nostra identità carismatica inizia anche il pellegrinaggio dell’urna di don Bosco in tutte le Regioni della nostra Congregazione e si apre così la preparazione al bicentenario della sua nascita nel 2015
AGGIORNAMENTI: l'Arcivescovo approva l'iniziativa e sarà presente alla celebrazione che si terrà martedi 22 ottobre intorno alle ore 11.30 in San Francesco, per ricordare lavisita di don Bosco del 1887 durante la quale acquistò le parti superiori dell'altare barocco, che stavano per essere sostituite in occasione dei lavori di ristrutturazione della chiesa, in precedenza vittima di un incendio. Con queste parti don Bosco realizzò l'altare maggiore della costruenda chiesa del Sacro Cuore di Roma, che il papa gli aveva chiesto di terminare in un momento di grave crisi finanziaria del progetto.
In quell'occasione si narra che don Bosco si fermasse in preghiera alle Sacre Particole.
ALTRE INIZIATIVE: in occasione della visita son in corso i preparativi per alcune iniziative divulgative dell'opera e della vita del santo: conferenza sul tema dell'educazione, coinvolgimento delle scuole, delle Contrade e di altre agenzie educative, etc.
Chiunque abbia a cuore questa iniziativa, che verrà gestita insieme alla Casa Salesiana di Colle di Val d'Elsa, e/o possa rendersi disponibile per l'occasione è il benvenuto!
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I nostri ragazzi al CONFRONTO di Torino con il Movimento Giovanile Salesiano
Ultimo giorno per il Confronto nazionale 2013 del Movimento Giovanile Salesiano. E non un giorno qualsiasi: il 16 agosto 1815 nasceva, infatti, Giovanni Bosco.
Per festeggiare l’avvenimento, i ragazzi del Confronto si sono riuniti già la scorsa notte innanzi alla Basilica del Colle don Bosco e hanno celebrato una veglia di Adorazione Eucaristica proseguita nel silenzio della Basilica per tutta la notte, fino alle 7 del mattino. Dopo una grande festa, quella di Piazza Vittorio, passata in mezzo al rumore delle vie della città, è stato importante vivere il silenzio di un luogo santo, quello dove è nato San Giovanni Bosco nel 1815. Il silenzio, quello stesso silenzio che ha stupito il mondo quando è stato richiesto ed ottenuto da Papa Francesco il giorno della sua elezione e poi a Rio de Janeiro, è il segno di una gioventù che sa vivere nel mondo ma non ne è succube e impotente fruitrice. La notte è trascorsa tra sacchi a pelo, materassini, un gran freddo e la luce sempre accesa della Basilica. La mattinata, è iniziata con la preghiera, ed è proseguita con un incontro presieduto dal Rettor Maggiore dei Salesiani don Pascual Chavez Villanueva accolto dal calore dei 1200 giovani del Confronto MGS Italia. Il Rettor Maggiore, rispondendo alle domande poste dai ragazzi, ha ricordato tre punti fondamentali che il giovane che vuole vivere in Cristo, e il giovane del Movimento Giovanile Salesiano, deve riconoscere e vivere nella sua quotidianità. Li ricordiamo riportando le frasi più significative ed emozionanti:
“Non sprecate la vostra vita: dovete mettere in gioco la vostra esistenza”; “Coltivate desideri: nessuno può sognare in grande se non ha visto le stelle”; e infine “Imparate a nuotare controcorrente: è l’unico modo di essere fecondi nell’amore”.
È risuonato chiaro l’invito a prendere in mano il proprio futuro, sebbene pieno di difficoltà, avendo come esempio don Bosco il quale ha vissuto un’epoca simile alla presente, di grande critica verso la Chiesa unita alla grave crisi economica che portava immigrati dalla campagna verso la Città, ma ha saputo dar speranza, istruzione e lavoro a migliaia di giovani.
I 1200 giovani presenti sono ora tornati alle loro case, in tutta Italia. Stanchi, assonnati ma con un mandato preciso: essere Testimoni della gioia (dal sito mgsitalia).
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Vi invitiamo a leggere questo articolo: lo spirito dei giovani non si ferma davanti a nulla e noi non lo dobbiamo soffocare; ricorda un po' il racconto della peste nella storia del primo Oratorio di Valdocco
http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=132541
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Vi invitiamo a leggere questo articolo: lo spirito dei giovani non si ferma davanti a nulla e noi non lo dobbiamo soffocare; ricorda un po' il racconto della peste nella storia del primo Oratorio di Valdocco
http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=132541
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CONOSCERE DON BOSCO
(dal Bollettino Salesiano di maggio 2013)
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
DON BOSCO RACCONTA
I ragazzi mancano più per vivacità che per cattiveria. Grazie anche alla presenza materna di mia madre nell'antica casa Pinardi (dove ebbe inizio l'opera salesiana) c'era questo schietto stile di rapporti umani, fatto di calore paziente, di comprensione e correzione, in perfetto stile di famiglia. Con tanti in casa, la disciplina era necessaria perché il tutto non sfociasse in una baraonda incontrollata. Disciplina ridotta al minimo, ma "patti chiari e amicizia lunga" come lei, nella sua innata saggezza popolana, condensava le sue conclusioni.
Passati molti anni e con alle spalle un'esperienza ricca di buoni risultati, potevo affermare che "presso i ragazzi è castigo quello che si fa servire per tale". Volevo far capire che un castigo deve servire per migliorare le cose e non peggiorarle. Una breve sottrazione di affetto, un'occhiata triste, un atteggiamento più riservato e serio, una parolina all'orecchio detta con dolcezza e pazienza, erano mezzi di cui mi servivo per correggere e arginare possibili comportamenti sbagliati.
Tra i ragazzi accettati non tutti erano come Domenico Savio. Capitò un giorno che un povero assistente, forse non era molto accetto dai grandi, perse la pazienza e finì per distribuire alcuni sonori ceffoni nel tentativo di imporsi. Si era creato un clima di sorda resistenza che poteva sfociare da un momento all'altro in una pericolosa forma di insubordinazione incontrollata. Tutti aspettavano che io mi pronunciassi; lo feci dopo le preghiere della sera, al momento della "buona-notte". Con il volto molto serio presi a dire qual era il nostro stile di educazione, manifestai la delusione provata al sapere che uno di loro fosse stato trattato così duramente e che da parte sua avesse commesso una mancanza grave di rispetto e di obbedienza verso chi era incaricato di mantenere la disciplina. Messe le cose in chiaro, terminai: "Da una parte non ci siano mai più villanie, dall'altra mai più violenze". Avevo dato il classico colpo, uno alla botte e un altro al cerchio. Poi feci una pausa, il mio volto si aprì al sorriso e ripresi il mio dire: "Vorrei per l'affetto che porto a tutti fare anche l'impossibile... Mi rincresce per le botte che avete prese, ma queste non ve le posso proprio levare". Ero riuscito a rompere il ghiaccio; tutti risero, attesi che si facesse nuovamente silenzio e augurai a tutti la buona notte.
I ragazzi in genere sbagliano più per leggerezza che per malizia. E certi educatori, spinti dalla fretta eccessiva o impazienza, commettevano sbagli più gravi che non le mancanze degli stessi ragazzi. Non raramente mi accorgevo che alcuni che nulla perdonavano agli altri erano molto sensibili e pronti a scusare se stessi. E quando si usano due pesi e due misure in forma arbitraria gli educatori finiscono per commettere sbagli ed errori madornali. Ricordavo spesso ai miei salesiani che i ragazzi sono dei "piccoli psicologi" quando giudicano i loro educatori, maestri e assistenti e la forma, il tono e l'imprudenza con cui approfittano della loro autorità. Desideravo sempre che i miei cari salesiani sapessero attendere il momento opportuno per fare la dovuta correzione; mai, spinti dalla collera o dalla vendetta. E che non dimenticassero mai che i ragazzi, i giovani bisogna conquistarli uno per uno, giorno per giorno, per indirizzarli al Signore perché Egli solo sa disegnare in essi il suo volto divino.
Volevo i miei salesiani "educatori da cortile". Aperti al dialogo, creativi, vigilanti ma non sospettosi, presenti ma non soffocanti, accoglienti e allegri, amici veri.
Era ciò che io definivo l'assistenza: una presenza qualificata, mai neutra, sempre propositiva; un'assistenza che era attesa accogliente, una presenza attiva e qualificata. Un modo di essere-con-i-giovani, al loro fianco. "Essere nel cortile", per condividere con i ragazzi sogni e speranze, per costruire assieme un futuro più bello e degno, senza barriere di diffidenze. Il cortile, come luogo "sacro" di amicizia e di incontro dove nasce la confidenza cordiale, dove l'educatore è sceso dalla cattedra, non ha più in mano il diario di classe, dove non vale tanto per i titoli di studio raggiunti, quanto per quel che è, per i valori che esprime, per gli ideali che lo animano.
Il giovane, anche il più ribelle, si lascia influenzare solo dalla bontà e dalla pazienza. Per questo suggerivo ai miei salesiani: "Più che testa di superiore conviene avere cuore di padre".
DON BOSCO RACCONTA
I ragazzi mancano più per vivacità che per cattiveria. Grazie anche alla presenza materna di mia madre nell'antica casa Pinardi (dove ebbe inizio l'opera salesiana) c'era questo schietto stile di rapporti umani, fatto di calore paziente, di comprensione e correzione, in perfetto stile di famiglia. Con tanti in casa, la disciplina era necessaria perché il tutto non sfociasse in una baraonda incontrollata. Disciplina ridotta al minimo, ma "patti chiari e amicizia lunga" come lei, nella sua innata saggezza popolana, condensava le sue conclusioni.
Passati molti anni e con alle spalle un'esperienza ricca di buoni risultati, potevo affermare che "presso i ragazzi è castigo quello che si fa servire per tale". Volevo far capire che un castigo deve servire per migliorare le cose e non peggiorarle. Una breve sottrazione di affetto, un'occhiata triste, un atteggiamento più riservato e serio, una parolina all'orecchio detta con dolcezza e pazienza, erano mezzi di cui mi servivo per correggere e arginare possibili comportamenti sbagliati.
Tra i ragazzi accettati non tutti erano come Domenico Savio. Capitò un giorno che un povero assistente, forse non era molto accetto dai grandi, perse la pazienza e finì per distribuire alcuni sonori ceffoni nel tentativo di imporsi. Si era creato un clima di sorda resistenza che poteva sfociare da un momento all'altro in una pericolosa forma di insubordinazione incontrollata. Tutti aspettavano che io mi pronunciassi; lo feci dopo le preghiere della sera, al momento della "buona-notte". Con il volto molto serio presi a dire qual era il nostro stile di educazione, manifestai la delusione provata al sapere che uno di loro fosse stato trattato così duramente e che da parte sua avesse commesso una mancanza grave di rispetto e di obbedienza verso chi era incaricato di mantenere la disciplina. Messe le cose in chiaro, terminai: "Da una parte non ci siano mai più villanie, dall'altra mai più violenze". Avevo dato il classico colpo, uno alla botte e un altro al cerchio. Poi feci una pausa, il mio volto si aprì al sorriso e ripresi il mio dire: "Vorrei per l'affetto che porto a tutti fare anche l'impossibile... Mi rincresce per le botte che avete prese, ma queste non ve le posso proprio levare". Ero riuscito a rompere il ghiaccio; tutti risero, attesi che si facesse nuovamente silenzio e augurai a tutti la buona notte.
I ragazzi in genere sbagliano più per leggerezza che per malizia. E certi educatori, spinti dalla fretta eccessiva o impazienza, commettevano sbagli più gravi che non le mancanze degli stessi ragazzi. Non raramente mi accorgevo che alcuni che nulla perdonavano agli altri erano molto sensibili e pronti a scusare se stessi. E quando si usano due pesi e due misure in forma arbitraria gli educatori finiscono per commettere sbagli ed errori madornali. Ricordavo spesso ai miei salesiani che i ragazzi sono dei "piccoli psicologi" quando giudicano i loro educatori, maestri e assistenti e la forma, il tono e l'imprudenza con cui approfittano della loro autorità. Desideravo sempre che i miei cari salesiani sapessero attendere il momento opportuno per fare la dovuta correzione; mai, spinti dalla collera o dalla vendetta. E che non dimenticassero mai che i ragazzi, i giovani bisogna conquistarli uno per uno, giorno per giorno, per indirizzarli al Signore perché Egli solo sa disegnare in essi il suo volto divino.
Volevo i miei salesiani "educatori da cortile". Aperti al dialogo, creativi, vigilanti ma non sospettosi, presenti ma non soffocanti, accoglienti e allegri, amici veri.
Era ciò che io definivo l'assistenza: una presenza qualificata, mai neutra, sempre propositiva; un'assistenza che era attesa accogliente, una presenza attiva e qualificata. Un modo di essere-con-i-giovani, al loro fianco. "Essere nel cortile", per condividere con i ragazzi sogni e speranze, per costruire assieme un futuro più bello e degno, senza barriere di diffidenze. Il cortile, come luogo "sacro" di amicizia e di incontro dove nasce la confidenza cordiale, dove l'educatore è sceso dalla cattedra, non ha più in mano il diario di classe, dove non vale tanto per i titoli di studio raggiunti, quanto per quel che è, per i valori che esprime, per gli ideali che lo animano.
Il giovane, anche il più ribelle, si lascia influenzare solo dalla bontà e dalla pazienza. Per questo suggerivo ai miei salesiani: "Più che testa di superiore conviene avere cuore di padre".
CITTA' DEL VATICANO: Papa Francesco incontra Don Chavez
Comunicazione Sociale - Ufficio stampa Scritto da ANS (ANS – Roma-22 MARZO 2013) – Nel pomeriggio di ieri, 21 marzo, il Rettor Maggiore, Don Pascual Chávez, e il suo Vicario, don Adriano Bregolin, sono stati ricevuti da Papa Francesco in Vaticano, in un incontro segnato da grande familiarità.
Il Papa ha accolto con spontaneità la lettera e gli omaggi di Don Chávez e don Bregolin mostrandosi disponibile a visitare Torino per il 2015.
“È stato un incontro breve: 15 minuti, ma di una grande intensità, in cui abbiamo consegnato al Santo Padre la lettera che gli avevo scritto in occasione della inaugurazione del suo pontificato e la statua di Maria Ausiliatrice, che subito ha baciato” racconta il Rettor Maggiore.
“Tutto ciò che abbiamo visto e provato sin dalla sua prima presentazione in Piazza San Pietro, la sera indimenticabile della sua elezione, lo abbiamo rivissuto e sperimentato in
prima persona questa sera: la sua attraente simpatia, la grande semplicità, la cordialità e la capacità di ascolto e di relazione. Mi ha riconosciuto e l’abbraccio con cui mi ha accolto mi ha fatto sentire la sua grande paternità”.
L’umanità del Papa si è mostrata anche nell’attenzione particolare verso la persona di Don Chávez. “Mi ha chiesto notizie sulla mia salute, perché aveva saputo che ero stato poco bene. Mi ha chiesto pure informazioni sul termine del mio mandato come Rettor Maggiore. Gli ho detto che, grazie a Dio, avevo recuperato la salute al punto di poter portare avanti il mio servizio e che fra un anno avrei finito il mio incarico come Superiore”.
Nel corso della conversazione non sono mancati i riferimenti alla vicinanza di Papa Francesco con la spiritualità e con l’opera salesiana: “Insieme – riprende Don Chávez – abbiamo ricordato alcuni avvenimenti: quando ad Aparecida chiese che la beatificazione di Zeffirino Namuncurà non si svolgesse a Buenos Aires ma a Chimpay, motivando la richiesta con la spiegazione: ‘in Patagonia i Salesiani hanno fatto tutto’; il suo passato da allievo del Collegio Salesiano di Ramos Mejía; la sua devozione a Maria Ausiliatrice, che esprimeva nel recarsi al suo Santuario, in Almagro, ogni 24 del mese per celebrare l’Eucaristia; lui stesso ha ricordato che proprio in quel santuario era stato battezzato, sempre da un salesiano, don Enrico Pozzoli; e abbiamo pure parlato della sua affiliazione al Club di Calcio San Lorenzo, di cui conserva la prima tessera sportiva”.
Il Rettor Maggiore e don Bregolin hanno anche rivolto alcuni inviti a Papa Francesco, che egli ha accolto con estrema disponibilità: “nel presentargli il direttore della Comunità al Vaticano, don Sergio Pellini, lo abbiamo invitato a visitare la Tipografia e la comunità e ha detto che lo avrebbe fatto. Gli ho poi rinnovato l’invito a venire a Torino il 24 maggio 2015, per la Festa di Maria Ausiliatrice, in occasione del bicentenario della nascita di Don Bosco. La sua risposta ha lasciato spazio alla speranza: ‘Perché no?’.
Infine, don Adriano Bregolin gli ha chiesto di tenere la statua di Maria Ausiliatrice nel suo studio come Ausiliatrice e Madre della Chiesa, e di nuovo ha detto: ‘Lo farò’”.
Il Rettor Maggiore e il suo Vicario si sono poi congedati dal Papa ringraziandolo per l’opportunità concessa di salutarlo personalmente e rinnovando la preghiera e la vicinanza di tutta la Famiglia Salesiana e, in particolare della Congregazione.
Il Papa ha accolto con spontaneità la lettera e gli omaggi di Don Chávez e don Bregolin mostrandosi disponibile a visitare Torino per il 2015.
“È stato un incontro breve: 15 minuti, ma di una grande intensità, in cui abbiamo consegnato al Santo Padre la lettera che gli avevo scritto in occasione della inaugurazione del suo pontificato e la statua di Maria Ausiliatrice, che subito ha baciato” racconta il Rettor Maggiore.
“Tutto ciò che abbiamo visto e provato sin dalla sua prima presentazione in Piazza San Pietro, la sera indimenticabile della sua elezione, lo abbiamo rivissuto e sperimentato in
prima persona questa sera: la sua attraente simpatia, la grande semplicità, la cordialità e la capacità di ascolto e di relazione. Mi ha riconosciuto e l’abbraccio con cui mi ha accolto mi ha fatto sentire la sua grande paternità”.
L’umanità del Papa si è mostrata anche nell’attenzione particolare verso la persona di Don Chávez. “Mi ha chiesto notizie sulla mia salute, perché aveva saputo che ero stato poco bene. Mi ha chiesto pure informazioni sul termine del mio mandato come Rettor Maggiore. Gli ho detto che, grazie a Dio, avevo recuperato la salute al punto di poter portare avanti il mio servizio e che fra un anno avrei finito il mio incarico come Superiore”.
Nel corso della conversazione non sono mancati i riferimenti alla vicinanza di Papa Francesco con la spiritualità e con l’opera salesiana: “Insieme – riprende Don Chávez – abbiamo ricordato alcuni avvenimenti: quando ad Aparecida chiese che la beatificazione di Zeffirino Namuncurà non si svolgesse a Buenos Aires ma a Chimpay, motivando la richiesta con la spiegazione: ‘in Patagonia i Salesiani hanno fatto tutto’; il suo passato da allievo del Collegio Salesiano di Ramos Mejía; la sua devozione a Maria Ausiliatrice, che esprimeva nel recarsi al suo Santuario, in Almagro, ogni 24 del mese per celebrare l’Eucaristia; lui stesso ha ricordato che proprio in quel santuario era stato battezzato, sempre da un salesiano, don Enrico Pozzoli; e abbiamo pure parlato della sua affiliazione al Club di Calcio San Lorenzo, di cui conserva la prima tessera sportiva”.
Il Rettor Maggiore e don Bregolin hanno anche rivolto alcuni inviti a Papa Francesco, che egli ha accolto con estrema disponibilità: “nel presentargli il direttore della Comunità al Vaticano, don Sergio Pellini, lo abbiamo invitato a visitare la Tipografia e la comunità e ha detto che lo avrebbe fatto. Gli ho poi rinnovato l’invito a venire a Torino il 24 maggio 2015, per la Festa di Maria Ausiliatrice, in occasione del bicentenario della nascita di Don Bosco. La sua risposta ha lasciato spazio alla speranza: ‘Perché no?’.
Infine, don Adriano Bregolin gli ha chiesto di tenere la statua di Maria Ausiliatrice nel suo studio come Ausiliatrice e Madre della Chiesa, e di nuovo ha detto: ‘Lo farò’”.
Il Rettor Maggiore e il suo Vicario si sono poi congedati dal Papa ringraziandolo per l’opportunità concessa di salutarlo personalmente e rinnovando la preghiera e la vicinanza di tutta la Famiglia Salesiana e, in particolare della Congregazione.
Chicche dal Congresso Mondiale dei Salesiani Cooperatori
In questi giorni, da giovedì 8 a Domenica 11 novembre, si sta tenendo a Roma il Congresso Mondiale dell'Associazione Salesiani Cooperatori. "Oggi il Rettor Maggiore ci ha chiesto di sporcarci le mani nel mondo, di diventare un lievito per l'umanità, di scendere in campo con decisione. Militanza l'ha chiamata. Un lavoro da iniziare oggi".
"Cooperatori, non vi voglio sacrestani o sacrestane...se vi vedo vi prendo a bastonate come fece il sacrestano con Bartolomeo Garelli! Lasciate le sottane delle suore e degli SDB e operate fuori dalle sacrestie..questo deve essere il vostro vero spirito... Non c'e bisogno di essere nella scuola per essere educatori..bisogna promuovere un'altra cultura della giustizia e della solidarietà " (Rettor Maggiore)
"Senza il dono della Fede la vita è un problema ed un enigma, non un mistero".
"Vedo i laici della Famiglia Salesiana troppo quieti, non ancora in piedi. E' il tempo di un laicato con maggior identità, impegno e responsabilità" (don Pascual Chavez)
La missione del salesiano cooperatore – “essere la proiezione viva della perfetta ‘humanitas’ del Cristo incarnato in mezzo ai giovani ed ai poveri, sull’esempio e l’insegnamento di Don Bosco”
La Famiglia salesiana costituisce “una rete indispensabile, un ancoraggio fondamentale per vivere in modo fecondo il nostro tempo, caratterizzato da grandi mutamenti” e ha un orizzonte apostolico ben chiaro: “Vorremmo che i nostri giovani, tutti i giovani tornassero a sognare e a sperare”.
http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=130253 è il link dell'articolo completo su donboscoland.it
In questi giorni, da giovedì 8 a Domenica 11 novembre, si sta tenendo a Roma il Congresso Mondiale dell'Associazione Salesiani Cooperatori. "Oggi il Rettor Maggiore ci ha chiesto di sporcarci le mani nel mondo, di diventare un lievito per l'umanità, di scendere in campo con decisione. Militanza l'ha chiamata. Un lavoro da iniziare oggi".
"Cooperatori, non vi voglio sacrestani o sacrestane...se vi vedo vi prendo a bastonate come fece il sacrestano con Bartolomeo Garelli! Lasciate le sottane delle suore e degli SDB e operate fuori dalle sacrestie..questo deve essere il vostro vero spirito... Non c'e bisogno di essere nella scuola per essere educatori..bisogna promuovere un'altra cultura della giustizia e della solidarietà " (Rettor Maggiore)
"Senza il dono della Fede la vita è un problema ed un enigma, non un mistero".
"Vedo i laici della Famiglia Salesiana troppo quieti, non ancora in piedi. E' il tempo di un laicato con maggior identità, impegno e responsabilità" (don Pascual Chavez)
La missione del salesiano cooperatore – “essere la proiezione viva della perfetta ‘humanitas’ del Cristo incarnato in mezzo ai giovani ed ai poveri, sull’esempio e l’insegnamento di Don Bosco”
La Famiglia salesiana costituisce “una rete indispensabile, un ancoraggio fondamentale per vivere in modo fecondo il nostro tempo, caratterizzato da grandi mutamenti” e ha un orizzonte apostolico ben chiaro: “Vorremmo che i nostri giovani, tutti i giovani tornassero a sognare e a sperare”.
http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=130253 è il link dell'articolo completo su donboscoland.it
Il saluto di don Enrico
Carissimi amici,
nel momento di partire da Roma (dalla prossima settimana sarò a Mestre, mia nuova destinazione) voglio rivolgervi il mio più caro e affettuoso saluto.Sono stati sei anni ricchi di Grazia, come in realtà lo sono sempre, ma spesso non ce ne accorgiamo troppo presi dalle nostre preoccupazioni, non dalle Sue! Ho sperimentato l’amicizia e la gioia di appartenere ad una Famigliache sa fare tesoro del bene di tutti e sa condividere le fatiche e le sofferenze. E sa soprattutto sopportare gli errori. Vi chiedo scusa se qualcuno non si è sentito compreso o accompagnato a sufficienza. Avrei voluto fare di più, ma in tante situazioni credo dobbiamo ancora camminare insieme. Ringrazio i confratelli delegati e le consorelle delegate con cui abbiamo cercato di costruire una migliore collaborazione ed una più profonda condivisione di obiettivi. Lascio a don Guido la gioia di questa condivisione perché la porti a migliori traguardi.
Agli exallievi raccomando di continuare fedeli a Don Bosco per condividere la Sua missione. Tutto il resto viene dopo, quasi di conseguenza. Nei tanti incontri ho respirato l’affetto dei figli per don Bosco: rimanetegli fedeli, chiedete a Lui quali strade percorrere nelle difficoltà, sicuri che saprà darvi al luce necessaria. Sostenete e accompagnate i vostri delegati e chiedete che vi accompagnino ad essere fedeli.
Ai salesiani cooperatori ricordo l’amore per i giovani che don Bosco vi invita a vivere, senza il quale la vocazione alla Famiglia Salesiana rischia di perdere significato. Vengo da un campo scuola con quaranta giovani di Siena, preparato e animato dai cooperatori di quella parrocchia ed ho visto ancora una volta come essere cooperatori di Dio e di don Bosco riempia di significato la vocazione cristiana.
Grazie di tutto!
Ai presidenti raccomando l’amicizia e la fraternità che contraddistinguono l’associazione degli exallievi: che chiunque vi veda e vi conosca possa dire con stupore: “E’ un figlio di don Bosco!”.
Ai coordinatori raccomando la passione salesiana per i giovani e le loro famiglie: saremo dono alla Chiesa se sapremo condividere con coraggio la disponibilità alla Grazia di Don Bosco.
A Bernardo Cannelli e alla presidenza degli exallievi, a Ivo Borri e alla segreteria regionale un abbraccio riconoscente per il grande bene che mi avete voluto: ho cercato di ricambiare ma sicuramente sono in difetto. Ho gioito dell’amicizia e goduto della compagnia. Che non terminano naturalmente. Spero che un incontro di presidenza e uno di consulta regionale possano essere fatti a Mestre dove vi accoglierò con gioia.
A don Guido che mi segue nel servizio di animazione nazionale un abbraccio fraterno: il campo è grande ma ricco di promesse e di futuro! Un abbraccio a tutti e a ciascuno. Maria Assunta che ci ricorda il Paradiso, il fine a cui siamo chiamati vi accompagni sempre. Non vi mancherà la mai preghiera. Vi chiedo la carità di non farmi mancare la vostra.Buona festa del compleanno di don Bosco. Arrivederci.
don Enrico Peretti - 15 agosto 2012
nel momento di partire da Roma (dalla prossima settimana sarò a Mestre, mia nuova destinazione) voglio rivolgervi il mio più caro e affettuoso saluto.Sono stati sei anni ricchi di Grazia, come in realtà lo sono sempre, ma spesso non ce ne accorgiamo troppo presi dalle nostre preoccupazioni, non dalle Sue! Ho sperimentato l’amicizia e la gioia di appartenere ad una Famigliache sa fare tesoro del bene di tutti e sa condividere le fatiche e le sofferenze. E sa soprattutto sopportare gli errori. Vi chiedo scusa se qualcuno non si è sentito compreso o accompagnato a sufficienza. Avrei voluto fare di più, ma in tante situazioni credo dobbiamo ancora camminare insieme. Ringrazio i confratelli delegati e le consorelle delegate con cui abbiamo cercato di costruire una migliore collaborazione ed una più profonda condivisione di obiettivi. Lascio a don Guido la gioia di questa condivisione perché la porti a migliori traguardi.
Agli exallievi raccomando di continuare fedeli a Don Bosco per condividere la Sua missione. Tutto il resto viene dopo, quasi di conseguenza. Nei tanti incontri ho respirato l’affetto dei figli per don Bosco: rimanetegli fedeli, chiedete a Lui quali strade percorrere nelle difficoltà, sicuri che saprà darvi al luce necessaria. Sostenete e accompagnate i vostri delegati e chiedete che vi accompagnino ad essere fedeli.
Ai salesiani cooperatori ricordo l’amore per i giovani che don Bosco vi invita a vivere, senza il quale la vocazione alla Famiglia Salesiana rischia di perdere significato. Vengo da un campo scuola con quaranta giovani di Siena, preparato e animato dai cooperatori di quella parrocchia ed ho visto ancora una volta come essere cooperatori di Dio e di don Bosco riempia di significato la vocazione cristiana.
Grazie di tutto!
Ai presidenti raccomando l’amicizia e la fraternità che contraddistinguono l’associazione degli exallievi: che chiunque vi veda e vi conosca possa dire con stupore: “E’ un figlio di don Bosco!”.
Ai coordinatori raccomando la passione salesiana per i giovani e le loro famiglie: saremo dono alla Chiesa se sapremo condividere con coraggio la disponibilità alla Grazia di Don Bosco.
A Bernardo Cannelli e alla presidenza degli exallievi, a Ivo Borri e alla segreteria regionale un abbraccio riconoscente per il grande bene che mi avete voluto: ho cercato di ricambiare ma sicuramente sono in difetto. Ho gioito dell’amicizia e goduto della compagnia. Che non terminano naturalmente. Spero che un incontro di presidenza e uno di consulta regionale possano essere fatti a Mestre dove vi accoglierò con gioia.
A don Guido che mi segue nel servizio di animazione nazionale un abbraccio fraterno: il campo è grande ma ricco di promesse e di futuro! Un abbraccio a tutti e a ciascuno. Maria Assunta che ci ricorda il Paradiso, il fine a cui siamo chiamati vi accompagni sempre. Non vi mancherà la mai preghiera. Vi chiedo la carità di non farmi mancare la vostra.Buona festa del compleanno di don Bosco. Arrivederci.
don Enrico Peretti - 15 agosto 2012
Carissimi tutti, vi giro questa "Buonanotte sulla buonanotte" di Don Pascual Chavez; ecco a voi....:
“La Buonanotte è anzitutto un evento di famiglia!”, ha precisato Don Chávez e ricordando come Don Bosco riservasse a se questo impegno e in caso di assenza toccasse a Don Rua concludere le giornata, ha aggiunto: “È quindi compito specifico del padre della comunità, del Direttore o dell’Ispettore; anche lì dove ci sono piccole comunità.
La Buonanotte aiuta a recuperare il centro e l’unità della vita. “A conclusione di una giornata abbiamo fatto e sentito tante cose; la Buonanotte aiuta a fare sintesi evitando la dispersione e la frammentazione”.
La Buonanotte, infine, insegna a fare una lettura cristiana degli eventi vissuti. “Non è dire solo una buona parola, dare un’informazione o un buon messaggio, ma fare una lettura credente della vita, della storia.
Dobbiamo ritornare alla tradizione di Valdocco e ridare vigore e significato alla pratica della Buonanotte. La Buonanotte è uno dei tratti più caratteristici dei Salesiani, una pratica tipicamente nostra, non presente in altre Congregazioni. È una delle cose più preziose che noi dobbiamo preservare!”.
“La Buonanotte è anzitutto un evento di famiglia!”, ha precisato Don Chávez e ricordando come Don Bosco riservasse a se questo impegno e in caso di assenza toccasse a Don Rua concludere le giornata, ha aggiunto: “È quindi compito specifico del padre della comunità, del Direttore o dell’Ispettore; anche lì dove ci sono piccole comunità.
La Buonanotte aiuta a recuperare il centro e l’unità della vita. “A conclusione di una giornata abbiamo fatto e sentito tante cose; la Buonanotte aiuta a fare sintesi evitando la dispersione e la frammentazione”.
La Buonanotte, infine, insegna a fare una lettura cristiana degli eventi vissuti. “Non è dire solo una buona parola, dare un’informazione o un buon messaggio, ma fare una lettura credente della vita, della storia.
Dobbiamo ritornare alla tradizione di Valdocco e ridare vigore e significato alla pratica della Buonanotte. La Buonanotte è uno dei tratti più caratteristici dei Salesiani, una pratica tipicamente nostra, non presente in altre Congregazioni. È una delle cose più preziose che noi dobbiamo preservare!”.
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martedi 27 dicembre con don José
FORMAZIONE SALESIANA
Dallo Statuto e Regolamento dei Salesiani Cooperatori
Nel loro impegno educativo i Salesiani Cooperatori:
§1. adottano il “Sistema Preventivo” di don Bosco, che “si appoggia sopra la ragione, la religione e l’amorevolezza”; cercano la persuasione e non l’imposizione, la prevenzione piuttosto che la punizione, attraverso il dialogo costante;
§2. creano un ambiente familiare in cui la presenza animatrice, l’accompagnamento personale e l’esperienza di gruppo aiutano a percepire la presenza di Dio;
§3. promuovono il bene ed educano all’amore per la vita, alla responsabilità, alla solidarietà, alla condivisione e alla comunione;
§4. fanno appello alle risorse interiori della persona e credono nell’azione invisibile della grazia. Guardano ogni giovane con ottimismo realista, convinti del valore educativo dell’esperienza di fede. La loro relazione con i giovani è ispirata da un amore maturo e accogliente.
Art. 28. Valore dell’appartenenza
§1. I Salesiani Cooperatori sono consapevoli che l’appartenenza all’Associazione costituisce una privilegiata esperienza di fede e di comunione ecclesiale. Rappresenta, inoltre, un elemento vitale per il sostegno della propria vocazione apostolica.
§2. Riconoscono che quest’appartenenza necessita di segni concreti di presenza e partecipazione attiva alla vita dell’Associazione.
§2. nella diversità delle situazioni e degli impegni, i Salesiani Cooperatori portano all’Associazione il proprio valido contributo. Tutti sono chiamati a partecipare, in vari modi, alla vita dell’Associazione:
- i giovani, portatori di dinamismo, contribuiscono alla missione comune con la loro sensibilità e capacità creativa;
gli adulti e gli anziani, con la loro esperienza matura e lunga fedeltà, apportano la testimonianza di una vita radicata in Cristo e vissuta nelle realtà temporali: famiglia, impegno nell’ambito del proprio lavoro e della cultura, esercizio delle responsabilità sociali, economiche e politiche;
- coloro che sono impossibilitati a svolgere un'attività potenziano l’azione educativa e l’apostolato di tutti con l’offerta della loro sofferenza e della preghiera.
A breve i dettagli dell'incontro che inizierà ritrovandoci insieme alla Celebrazione della S.Messa delle ore 10.30 nella Chiesa di Fontegiusta e prevederà di pranzare in Oratorio
verifica_oratorio_2009-2010.pdf | |
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File Type: |
riflessione_don_f_marcoccio_strenna_2012.doc | |
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File Type: | doc |
presentazione_progetto_oratorio_1.pdf | |
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File Type: |
presentazione_programma_iv_anno_1.pdf | |
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