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36.
L'albergatore di Betlemme 2
don Davide Caldirola
Mi avete messo dalla parte di cattivi. Da secoli spio la mia statuina nei vostri presepi. La vedo sulla porta dell'osteria, la faccia truce, lo sguardo severo, il dito alzato in segno di rifiuto; oppure dietro le porte dell'albergo, china sui profitti della giornata, incurante della coppia di galilei che bussa per domandare un giaciglio.
Forse non avete l'idea di cosa significhi gestire una locanda in un borgo come Betlemme. Pochi guadagni, lavoro di bassa lega, rogne a grappoli. Clientela non selezionata, e ladri e farabutti pronti a portarti via i magri ricavi appena giri le spalle.
È vero: in quel periodo gli affari andavano bene. Merito della follia di Cesare Augusto, e del suo ordine assurdo di bandire un censimento. Ma più degli introiti, ad essere sinceri, crescevano le preoccupazioni. La mia locanda era invasa da persone di ogni tipo: viaggiatori sconosciuti, gente comune che veniva a farsi registrare, facce da galera pronte a tagliare la gola per due denari, vagabondi di passaggio, avventori con pochi soldi e tante richieste.
E quella notte io, l'albergatore di Betlemme, semplicemente non ce la facevo più. Tutti a pretendere un posto, a gridare ordini, a tirarmi per i capelli, a lamentarsi per la minestra insipida o il vino annacquato; tutti pronti a darmi addosso perché il servizio era lento, il letto sporco, il cibo cattivo. Gli uomini bestemmiavano, i bambini gridavano, le donne si accapigliavano. Altro che notte di stelle e di amore, come cantate nelle vostre canzoni. Era una bolgia, un inferno. C'erano persone sdraiate sul tavolo della cucina, bestie ed esseri umani buttati l'uno sull'altro, animali e ragazzi coricati insieme. Non mi restava nemmeno il mio letto, ceduto per quattro spiccioli all'ultimo avventore, e dormivo in piedi, come un somaro.
E allora ho detto no. Non per cattiveria, non perché Maria e Giuseppe (si chiamano così, vero?) erano dei poveracci che non potevano pagare. Semplicemente perché non ce la facevo più. Cosa ne sapete voi, che mi avete messo tra i cattivi? Magari - oltre a tutto questo - avevo anch'io una vecchia madre malata, o una moglie bisbetica con cui bisticciare, o un figlio scappato di casa, o un dolore sordo nel cuore, una ferita nelle viscere, un rimorso, un fallimento, un rimpianto. Da secoli vedo che fate come me, del resto. Come me chiudete le porte a Dio, incatenati dai vostri dispiaceri, schiantati dalla stanchezza della vita, torchiati da pesi che non riuscite a portare, da paure che vi tolgono la speranza e il respiro. E Dio arriva, e bussa alla soglia. Ma non ce la fate più, e la vostra casa rimane chiusa.
Eppure - i vostri vangeli non lo raccontano - eppure non è finita così.
Quella notte, quella stessa notte, mi sono destato di soprassalto. Un rumore, un tuono, un canto: non chiedetemi cos'è stato. Ho aperto gli occhi di colpo, e ho rivisto come in un sogno Maria e Giuseppe che camminavano verso la stalla che avevo loro indicato. Ho raccolto un paio di coperte, un po' di formaggio, del pane avanzato. Mi sono messo il fagotto sulle spalle e sono uscito dall'albergo di nascosto, come un ladro. La capanna era poco distante, avvolta da una luce strana; qualcuno si allontanava nel buio, verso le colline dei pascoli. Sono entrato quasi di soppiatto e mi sono fermato in un angolo, nascosto dietro una trave di legno. Ho lasciato le quattro cose che mi ero portato appresso, e sono caduto in ginocchio. Non so quanto tempo sono rimasto, incantato, a fissare il Bambino. Quel tanto che basta per capire che io gli avevo detto di no, ma lui mi diceva di sì. Che per lui non c'era posto nel mio albergo, ma per me c'era posto nella sua vita, nel suo cuore, tutte le volte che avrei voluto.
E vorrei dirvi che poco m'importa se nei vostri presepi e nelle vostre recite sarò sempre l'oste cattivo: perché lui non mi vede così, perché - ne sono sicuro - mi aspetta di nuovo, come quella notte, ogni notte, ogni giorno, in ogni istante. Siete, siamo ancora in tempo. Non importa se gli abbiamo detto no. Non importa se l'affanno, la stanchezza, la tristezza della vita ci ha fatto, un giorno, chiudere le porte a Dio. C'è tempo. La sua casa rimane aperta, non ci manderà indietro. E forse cadremo, finalmente, in ginocchio davanti a lui, nel pentimento e nel perdono, in un sorriso di tenerezza o nella consolazione del pianto.
Buon Natale!
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don Davide Caldirola
Mi avete messo dalla parte di cattivi. Da secoli spio la mia statuina nei vostri presepi. La vedo sulla porta dell'osteria, la faccia truce, lo sguardo severo, il dito alzato in segno di rifiuto; oppure dietro le porte dell'albergo, china sui profitti della giornata, incurante della coppia di galilei che bussa per domandare un giaciglio.
Forse non avete l'idea di cosa significhi gestire una locanda in un borgo come Betlemme. Pochi guadagni, lavoro di bassa lega, rogne a grappoli. Clientela non selezionata, e ladri e farabutti pronti a portarti via i magri ricavi appena giri le spalle.
È vero: in quel periodo gli affari andavano bene. Merito della follia di Cesare Augusto, e del suo ordine assurdo di bandire un censimento. Ma più degli introiti, ad essere sinceri, crescevano le preoccupazioni. La mia locanda era invasa da persone di ogni tipo: viaggiatori sconosciuti, gente comune che veniva a farsi registrare, facce da galera pronte a tagliare la gola per due denari, vagabondi di passaggio, avventori con pochi soldi e tante richieste.
E quella notte io, l'albergatore di Betlemme, semplicemente non ce la facevo più. Tutti a pretendere un posto, a gridare ordini, a tirarmi per i capelli, a lamentarsi per la minestra insipida o il vino annacquato; tutti pronti a darmi addosso perché il servizio era lento, il letto sporco, il cibo cattivo. Gli uomini bestemmiavano, i bambini gridavano, le donne si accapigliavano. Altro che notte di stelle e di amore, come cantate nelle vostre canzoni. Era una bolgia, un inferno. C'erano persone sdraiate sul tavolo della cucina, bestie ed esseri umani buttati l'uno sull'altro, animali e ragazzi coricati insieme. Non mi restava nemmeno il mio letto, ceduto per quattro spiccioli all'ultimo avventore, e dormivo in piedi, come un somaro.
E allora ho detto no. Non per cattiveria, non perché Maria e Giuseppe (si chiamano così, vero?) erano dei poveracci che non potevano pagare. Semplicemente perché non ce la facevo più. Cosa ne sapete voi, che mi avete messo tra i cattivi? Magari - oltre a tutto questo - avevo anch'io una vecchia madre malata, o una moglie bisbetica con cui bisticciare, o un figlio scappato di casa, o un dolore sordo nel cuore, una ferita nelle viscere, un rimorso, un fallimento, un rimpianto. Da secoli vedo che fate come me, del resto. Come me chiudete le porte a Dio, incatenati dai vostri dispiaceri, schiantati dalla stanchezza della vita, torchiati da pesi che non riuscite a portare, da paure che vi tolgono la speranza e il respiro. E Dio arriva, e bussa alla soglia. Ma non ce la fate più, e la vostra casa rimane chiusa.
Eppure - i vostri vangeli non lo raccontano - eppure non è finita così.
Quella notte, quella stessa notte, mi sono destato di soprassalto. Un rumore, un tuono, un canto: non chiedetemi cos'è stato. Ho aperto gli occhi di colpo, e ho rivisto come in un sogno Maria e Giuseppe che camminavano verso la stalla che avevo loro indicato. Ho raccolto un paio di coperte, un po' di formaggio, del pane avanzato. Mi sono messo il fagotto sulle spalle e sono uscito dall'albergo di nascosto, come un ladro. La capanna era poco distante, avvolta da una luce strana; qualcuno si allontanava nel buio, verso le colline dei pascoli. Sono entrato quasi di soppiatto e mi sono fermato in un angolo, nascosto dietro una trave di legno. Ho lasciato le quattro cose che mi ero portato appresso, e sono caduto in ginocchio. Non so quanto tempo sono rimasto, incantato, a fissare il Bambino. Quel tanto che basta per capire che io gli avevo detto di no, ma lui mi diceva di sì. Che per lui non c'era posto nel mio albergo, ma per me c'era posto nella sua vita, nel suo cuore, tutte le volte che avrei voluto.
E vorrei dirvi che poco m'importa se nei vostri presepi e nelle vostre recite sarò sempre l'oste cattivo: perché lui non mi vede così, perché - ne sono sicuro - mi aspetta di nuovo, come quella notte, ogni notte, ogni giorno, in ogni istante. Siete, siamo ancora in tempo. Non importa se gli abbiamo detto no. Non importa se l'affanno, la stanchezza, la tristezza della vita ci ha fatto, un giorno, chiudere le porte a Dio. C'è tempo. La sua casa rimane aperta, non ci manderà indietro. E forse cadremo, finalmente, in ginocchio davanti a lui, nel pentimento e nel perdono, in un sorriso di tenerezza o nella consolazione del pianto.
Buon Natale!
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Prima di cominciare la giornata ...
Ho sempre amato l'insegnamento della chiesa e credo di tutte le religioni quando indicano di orientare il giorno, affidandolo a Dio. Ho fatto questa cosa fin da giovane, pensando però che riaffidarlo a Dio volesse dire riconsegnarlo a se stessi. Non credo che una preghiera del mattino faccia piacere a Dio che così potrebbe essere più motivato a proteggerci. Credo che sia un gesto di ricongiunzione con quella parte di noi più profonda, più vera, che è quel pezzetto di divinità che ci abita dentro. Una preghiera del mattino è una scelta di vita, perché in quel momento tu decidi che tipo di giornata vuoi vivere, ne moduli il ritmo e ne decidi i colori. È l'istante in cui ti prendi cura di te e del tuo stato d'animo, sapendo che è questo che condizionerà la tua giornata. Come non esiste lo spirito senza la materia, così non puoi toccare il tuo stato d'animo senza una regola. Vorrei suggerirtene alcune.
Prima di cominciare la giornata scegli di dedicarti un po' di tempo, in solitudine, in silenzio. Alcuni ne prendono molto. Li ho sempre ammirati, ma imitandoli non sono riuscito, per tanti motivi, ad essere costante. Preferisco quindi dedicare alla preghiera e a me stesso poco tempo, ma in modo continuativo. Penso che ognuno debba regolarsi secondo il proprio bisogno. Evita forme o formule stereotipate che non ti dicono niente e che permettono alla tua mente e al tuo cuore di distrarsi o di annoiarsi. Non c'è obbligo di dire certe preghiere. Il senso del dovere appaga, ma non genera niente. Bisogna soffermarsi su ciò che ci emoziona e che ci tocca il cuore, adorare Dio "in spirito e verità".
Sofferma la mente in ciò che ti piace e che desideri veramente. Puoi farlo con grande libertà. Un pensiero positivo, un'immagine appassionante, un obiettivo che ti prende da dentro non è cosa laica che ti stacca da Dio, anzi ti avvicina di più. Prima di chiedergli perdono, anzi, invece che chiederlo a Lui, prova a dirti che tu ti perdoni e ti accetti, anche nel momento più critico.
Ai ragazzi – è uno dei miei giochi preferiti – insegno come preghiera del mattino di provare per cinque minuti a parlare bene di se stessi. Quando ti esce un dubbio ricominci da capo. È questa una delle preghiere più difficili, ma anche una delle più salutari. Concentrati su ciò che desideri e prova a dirti che già ce l'hai. Accadrà infatti "secondo la tua fede", quindi goditi in anticipo quel risultato e ringrazia chi pensi che te lo stia per concedere. Credo che ringraziare sia la formula più grande dell'equilibrio. Quando lo fai in realtà riconosci di aver avuto un dono: hai qualcosa, sei ricco e nello stesso tempo, dicendoti che l' hai ricevuta, riconosci di essere amato.
Esiste una sensazione più bella per cominciare un nuovo giorno?"
Pier Luigi Ricci - Educatore-Formatore. Resp. Centro di Solidarietà di Arezzo. Coordinatore dell'Associazione I Care di Arezzo.
Grazia
Prima di cominciare la giornata scegli di dedicarti un po' di tempo, in solitudine, in silenzio. Alcuni ne prendono molto. Li ho sempre ammirati, ma imitandoli non sono riuscito, per tanti motivi, ad essere costante. Preferisco quindi dedicare alla preghiera e a me stesso poco tempo, ma in modo continuativo. Penso che ognuno debba regolarsi secondo il proprio bisogno. Evita forme o formule stereotipate che non ti dicono niente e che permettono alla tua mente e al tuo cuore di distrarsi o di annoiarsi. Non c'è obbligo di dire certe preghiere. Il senso del dovere appaga, ma non genera niente. Bisogna soffermarsi su ciò che ci emoziona e che ci tocca il cuore, adorare Dio "in spirito e verità".
Sofferma la mente in ciò che ti piace e che desideri veramente. Puoi farlo con grande libertà. Un pensiero positivo, un'immagine appassionante, un obiettivo che ti prende da dentro non è cosa laica che ti stacca da Dio, anzi ti avvicina di più. Prima di chiedergli perdono, anzi, invece che chiederlo a Lui, prova a dirti che tu ti perdoni e ti accetti, anche nel momento più critico.
Ai ragazzi – è uno dei miei giochi preferiti – insegno come preghiera del mattino di provare per cinque minuti a parlare bene di se stessi. Quando ti esce un dubbio ricominci da capo. È questa una delle preghiere più difficili, ma anche una delle più salutari. Concentrati su ciò che desideri e prova a dirti che già ce l'hai. Accadrà infatti "secondo la tua fede", quindi goditi in anticipo quel risultato e ringrazia chi pensi che te lo stia per concedere. Credo che ringraziare sia la formula più grande dell'equilibrio. Quando lo fai in realtà riconosci di aver avuto un dono: hai qualcosa, sei ricco e nello stesso tempo, dicendoti che l' hai ricevuta, riconosci di essere amato.
Esiste una sensazione più bella per cominciare un nuovo giorno?"
Pier Luigi Ricci - Educatore-Formatore. Resp. Centro di Solidarietà di Arezzo. Coordinatore dell'Associazione I Care di Arezzo.
Grazia
Vorrei che le chiese fossero come un albero…
DON ANGELO CASATI dal nuovo libro“I giorni della tenerezza” sono quelli della Pasqua. Don Angelo ci accompagna in un cammino quotidiano di pensieri, di poesie, riflessioni lungo i giorni del mistero pasquale.
Ci sono persone nella mia vita a cui sono estremamente grato perché mi hanno «cambiato». Tra queste metto Arturo Paoli che avete ascoltato, come alcuni grandi testimoni che non ho conosciuto, ma di cui ho letto: Lorenzo Milani, Primo Mazzolari…Però vi confesso che, accanto a queste persone che io ritengo «santi», ci sono due volti di santi piccoli.
Sono due bambine. Una bambina l’ho incontrata a Lecco dove ero parroco nei giorni in cui il Cardinal Martini mi chiamava per venire a Milano. Questa bambina, di 12 anni, mi dice: “Don Angelo, e adesso chi mi parlerà sottovoce di Dio?”. Sono rimasto folgorato. “Chi mi parlerà sottovoce di Dio?”. Come dire: non servono le celebrazioni oceaniche, no; parlare sottovoce, invece, perché così si parla al cuore. Sottovoce, per parlare in fraternità di Dio. Questa cosa mi ha cambiato la pelle.
L’altra bambina è invece di Milano. Ero in confessionale, un pomeriggio, e arriva lei. IV elementare, quindi 8-9 anni. Mi guarda e mi dice: “Don Angelo, devo dirti una cosa, ma non so come”. “Non preoccuparti, non è necessario dire tutto”. “No, io voglio dirtela, però non so come dirtela”. “Non importa – gli ho detto – Dio legge nel nostro cuore, stai tranquilla”. “No, devo dirtela”. Allora ho cercato di aiutarla e gli ho detto: “Forse si tratta del papà e della mamma – sapevo che si erano divisi - e forse questa cosa ti fa un po’ soffrire?”. “No, no, non è questo. Don Angelo, mio papà è un gay e la Chiesa i gay non li vuole”. E c’era, vi assicuro, una piega di sofferenza in quegli occhi dolcissimi di bambina.
L’ho guardata e gli ho detto: “Noi quest’anno – era l’anno del giubileo – abbiamo scelto come tema «guarire le ferite»”. E tra le ferite di cui avevo parlato in quella quaresima c’era anche questa: la ferita che noi diamo agli omosessuali”. E lei mi guarda e mi dice: “Allora tu, Don Angelo, accogli mio papà?”.
Ecco l’insegnamento di una bambina. La richiesta di una Chiesa che accoglie, una porta che si apre a chiunque, che guarda il cuore e non le etichette. Una porta che chiunque può sospingere. E così vorrei che fosse una parrocchia: è sulla piazza e tu puoi spingere la porta ed entrare. Nessuno ti dice: “Ma chi sei? Da dove vieni? Fino a quando resti?”.
Nel logo della nostra parrocchia, c’è la scritta: “Come albero”. .
Il Regno di Dio è come un albero, piccolo seme che germoglia, cresce, diventa albero e gli uccelli del cielo vengono e fanno nido e se ne vanno. Vorrei che le chiese fossero come un albero. L’albero non chiede agli uccelli da dove vieni o dove vai, quanto tempo resti. Dà ombra, dà cibo e poi sì, è bene che gli uccelli volino via. Non devono stare alla sua ombra.
(da Grazia)
Ci sono persone nella mia vita a cui sono estremamente grato perché mi hanno «cambiato». Tra queste metto Arturo Paoli che avete ascoltato, come alcuni grandi testimoni che non ho conosciuto, ma di cui ho letto: Lorenzo Milani, Primo Mazzolari…Però vi confesso che, accanto a queste persone che io ritengo «santi», ci sono due volti di santi piccoli.
Sono due bambine. Una bambina l’ho incontrata a Lecco dove ero parroco nei giorni in cui il Cardinal Martini mi chiamava per venire a Milano. Questa bambina, di 12 anni, mi dice: “Don Angelo, e adesso chi mi parlerà sottovoce di Dio?”. Sono rimasto folgorato. “Chi mi parlerà sottovoce di Dio?”. Come dire: non servono le celebrazioni oceaniche, no; parlare sottovoce, invece, perché così si parla al cuore. Sottovoce, per parlare in fraternità di Dio. Questa cosa mi ha cambiato la pelle.
L’altra bambina è invece di Milano. Ero in confessionale, un pomeriggio, e arriva lei. IV elementare, quindi 8-9 anni. Mi guarda e mi dice: “Don Angelo, devo dirti una cosa, ma non so come”. “Non preoccuparti, non è necessario dire tutto”. “No, io voglio dirtela, però non so come dirtela”. “Non importa – gli ho detto – Dio legge nel nostro cuore, stai tranquilla”. “No, devo dirtela”. Allora ho cercato di aiutarla e gli ho detto: “Forse si tratta del papà e della mamma – sapevo che si erano divisi - e forse questa cosa ti fa un po’ soffrire?”. “No, no, non è questo. Don Angelo, mio papà è un gay e la Chiesa i gay non li vuole”. E c’era, vi assicuro, una piega di sofferenza in quegli occhi dolcissimi di bambina.
L’ho guardata e gli ho detto: “Noi quest’anno – era l’anno del giubileo – abbiamo scelto come tema «guarire le ferite»”. E tra le ferite di cui avevo parlato in quella quaresima c’era anche questa: la ferita che noi diamo agli omosessuali”. E lei mi guarda e mi dice: “Allora tu, Don Angelo, accogli mio papà?”.
Ecco l’insegnamento di una bambina. La richiesta di una Chiesa che accoglie, una porta che si apre a chiunque, che guarda il cuore e non le etichette. Una porta che chiunque può sospingere. E così vorrei che fosse una parrocchia: è sulla piazza e tu puoi spingere la porta ed entrare. Nessuno ti dice: “Ma chi sei? Da dove vieni? Fino a quando resti?”.
Nel logo della nostra parrocchia, c’è la scritta: “Come albero”. .
Il Regno di Dio è come un albero, piccolo seme che germoglia, cresce, diventa albero e gli uccelli del cielo vengono e fanno nido e se ne vanno. Vorrei che le chiese fossero come un albero. L’albero non chiede agli uccelli da dove vieni o dove vai, quanto tempo resti. Dà ombra, dà cibo e poi sì, è bene che gli uccelli volino via. Non devono stare alla sua ombra.
(da Grazia)
"Egli, il Cristo, Colui che è co-sustanziale al Padre secondo la divinità, è il Medesimo che è co-sustanziale a noi secondo l'umanità".
(cfr. Concilio di Calcedonia, 451 d.C.)
Con grande stupore giro ciò che Sartre, il filosofo del 'nulla', ha detto sul 'Tutto': su Cristo e su Maria. Davvero commovente... Chi avrebbe mai pensato che una delle vette dell'ateismo europeo potesse esprimersi con la poderosità di un Bernardo di Chiaravalle? Chi? Io no di certo: se non l'avessi letto, non l'avrei mai creduto...
dice il filosofo su Maria:
"Cristo è suo Figlio, Carne della sua carne e frutto delle sue viscere. Ella Lo ha portato per nove mesi e Gli darà il seno e il suo latte diventerà il Sangue di Dio (...) Ella sente insieme che il Cristo è suo Figlio, il suo piccolo, e che Egli è Dio. Ella lo guarda e pensa:
'Questo Dio è mio figlio. Questa Carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della Sua Bocca è la forma della mia.
Egli mi assomiglia. E' Dio e mi assomiglia!'
Nessuna donna ha avuto in questo modo il suo Dio per lei sola. Un Dio (...) che si può toccare e vive".
(Jean Paul Sartre, da "Bairona o il figlio del tuono")
SANTO NATALE 2012
con Amicizia,
cioè in Cristo
Antonio
dice il filosofo su Maria:
"Cristo è suo Figlio, Carne della sua carne e frutto delle sue viscere. Ella Lo ha portato per nove mesi e Gli darà il seno e il suo latte diventerà il Sangue di Dio (...) Ella sente insieme che il Cristo è suo Figlio, il suo piccolo, e che Egli è Dio. Ella lo guarda e pensa:
'Questo Dio è mio figlio. Questa Carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della Sua Bocca è la forma della mia.
Egli mi assomiglia. E' Dio e mi assomiglia!'
Nessuna donna ha avuto in questo modo il suo Dio per lei sola. Un Dio (...) che si può toccare e vive".
(Jean Paul Sartre, da "Bairona o il figlio del tuono")
SANTO NATALE 2012
con Amicizia,
cioè in Cristo
Antonio
"Una parola hai detto, due ne ho udite" (Sal 62, 12)
Cos'è la verginità? E' un corpo amoroso che sempre più rivela in sé quella stessa Carne di Cristo che va contemplando.
Cos'è la nuzialità? Sono due corpi amorosi che, l'un nell'altra, contemplano sempre più quella Carne di Cristo che mutuamente si rivelano.
La verginità è nuzialità mostrata in un solo corpo. La nuzialità è verginità manifesta in due corpi.
Sia la verginità, che la nuzialità sono due bagliori che splendono in coloro che hanno a che fare con l'unica Carne sponsale del Cristo.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
Cos'è la nuzialità? Sono due corpi amorosi che, l'un nell'altra, contemplano sempre più quella Carne di Cristo che mutuamente si rivelano.
La verginità è nuzialità mostrata in un solo corpo. La nuzialità è verginità manifesta in due corpi.
Sia la verginità, che la nuzialità sono due bagliori che splendono in coloro che hanno a che fare con l'unica Carne sponsale del Cristo.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
Ave, Tu vetta sublime a umano intelletto... Ave, o Tu che congiungi opposte grandezze...
(Akàthistos, Inno mariano del V sec.)
E' possibile immaginare un effetto che preceda e insieme causi la propria scaturigine? E' possibile, pur rimanendo tale effetto suscitato dalla propria sorgente? Realizzare questo, sarebbe come figurarsi credibile un canto che abbia il potere di porre in essere le stesse labbra che precedentemente lo hanno enunciato.
Ma questo è assurdo... ebbene, Maria è questo assurdo!
Maria è quelle labbra pronunciate dalla Parola Eterna: Maria è quelle labbra espresse dalla Parola Eterna, che la Parola eterna ha proferito per dire Sé anche come Storia.
Gloria alla Trinità per te Maria, Chiasmo soave! Gloria alla Trinità per te Maria, Cristica concezione!
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio.
E' possibile immaginare un effetto che preceda e insieme causi la propria scaturigine? E' possibile, pur rimanendo tale effetto suscitato dalla propria sorgente? Realizzare questo, sarebbe come figurarsi credibile un canto che abbia il potere di porre in essere le stesse labbra che precedentemente lo hanno enunciato.
Ma questo è assurdo... ebbene, Maria è questo assurdo!
Maria è quelle labbra pronunciate dalla Parola Eterna: Maria è quelle labbra espresse dalla Parola Eterna, che la Parola eterna ha proferito per dire Sé anche come Storia.
Gloria alla Trinità per te Maria, Chiasmo soave! Gloria alla Trinità per te Maria, Cristica concezione!
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio.
Messaggio del Papa per la giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro
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Messaggio del Papa per la giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro
link per leggerlo interamente: http://www.news.va/it/news/pubblicato-il-messaggio-del-papa-per-la-giornata-2
Lasciatevi amare da Lui e sarete i testimoni di cui il mondo ha bisogno.
Oggi non pochi giovani dubitano profondamente che la vita sia un bene e non vedono chiarezza nel loro cammino. Più in generale, di fronte alle difficoltà del mondo contemporaneo, molti si chiedono: io che cosa posso fare? La luce della fede illumina questa oscurità, ci fa comprendere che ogni esistenza ha un valore inestimabile, perché frutto dell’amore di Dio. Egli ama anche chi si è allontanato da Lui o lo ha dimenticato: ha pazienza e attende; anzi, ha donato il suo Figlio, morto e risorto, per liberarci radicalmente dal male.
Cari giovani, voi siete i primi missionari tra i vostri coetanei!
Alla fine del Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui quest’anno celebriamo il 50° anniversario, il Servo di Dio Paolo VI consegnò ai giovani e alle giovani del mondo un Messaggio che si apriva con queste parole: «E’ a voi, giovani uomini e donne del mondo intero, che il Concilio vuole rivolgere il suo ultimo messaggio. Perché siete voi che raccoglierete la fiaccola dalle mani dei vostri padri e vivrete nel mondo nel momento delle più gigantesche trasformazioni della sua storia. Siete voi che, raccogliendo il meglio dell’esempio e dell’insegnamento dei vostri genitori e dei vostri maestri, formerete la società di domani: voi vi salverete o perirete con essa». E concludeva con un appello: «Costruite nell’entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!» (Messaggio ai giovani, 8 dicembre 1965).
Il progresso tecnico ci ha offerto possibilità inedite di interazione tra uomini e tra popolazioni, ma la globalizzazione di queste relazioni sarà positiva e farà crescere il mondo in umanità solo se sarà fondata non sul materialismo ma sull’amore, l’unica realtà capace di colmare il cuore di ciascuno e di unire le persone. Dio è amore. L’uomo che dimentica Dio è senza speranza e diventa incapace di amare il suo simile.
Il Beato Giovanni Paolo II scriveva: «La fede si rafforza donandola» (Enc. Redemptoris missio, 2). Annunciando il Vangelo voi stessi crescete nel radicarvi sempre più profondamente in Cristo, diventate cristiani maturi.
Impegnandovi a servire gli altri e ad annunciare loro il Vangelo, la vostra vita, spesso frammentata tra diverse attività, troverà la sua unità nel Signore, costruirete anche voi stessi, crescerete e maturerete in umanità.
Imparate a rileggere la vostra storia personale, prendete coscienza anche della meravigliosa eredità delle generazioni che vi hanno preceduto: tanti credenti ci hanno trasmesso la fede con coraggio, affrontando prove e incomprensioni. Non dimentichiamolo mai: facciamo parte di una catena immensa di uomini e donne che ci hanno trasmesso la verità della fede e contano su di noi affinché altri la ricevano. Abbiate il coraggio di «partire» da voi stessi per «andare» verso gli altri e guidarli all’incontro con Dio.
Mediante il Battesimo, che ci genera a vita nuova, lo Spirito Santo prende dimora in noi e infiamma la nostra mente e il nostro cuore: è Lui che ci guida a conoscere Dio e ad entrare in amicizia sempre più profonda con Cristo; è lo Spirito che ci spinge a fare il bene, a servire gli altri, a donare noi stessi. Attraverso la Confermazione, poi, siamo fortificati dai suoi doni per testimoniare in modo sempre più maturo il Vangelo. È dunque lo Spirito d’amore l’anima della missione: ci spinge ad uscire da noi stessi, per «andare» ed evangelizzare.
Cari amici, non dimenticate mai che il primo atto di amore che potete fare verso il prossimo è quello di condividere la sorgente della nostra speranza: chi non dà Dio, dà troppo poco! Vorrei che ciascuno si chiedesse: ho mai avuto il coraggio di proporre il Battesimo a giovani che non l’hanno ancora ricevuto? Ho invitato qualcuno a seguire un cammino di scoperta della fede cristiana?
Cari amici, non temete di proporre ai vostri coetanei l’incontro con Cristo. Invocate lo Spirito Santo: Egli vi guiderà ad entrare sempre più nella conoscenza e nell’amore di Cristo e vi renderà creativi nel trasmettere il Vangelo.
Di fronte alle difficoltà della missione di evangelizzare, talvolta sarete tentati di dire come il profeta Geremia: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Ma anche a voi Dio risponde: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,6-7). Quando vi sentite inadeguati, incapaci, deboli nell’annunciare e testimoniare la fede, non abbiate timore. L’evangelizzazione non è una nostra iniziativa e non dipende anzitutto dai nostri talenti, ma è una risposta fiduciosa e obbediente alla chiamata di Dio, e perciò si basa non sulla nostra forza, ma sulla sua. Lo ha sperimentato l’apostolo Paolo: «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2 Cor 4,7).
Dobbiamo prima parlare con Dio per poter parlare di Dio.
Nella preghiera, affidiamo al Signore le persone a cui siamo inviati, supplicandolo di toccare loro il cuore; domandiamo allo Spirito Santo di renderci suoi strumenti per la loro salvezza; chiediamo a Cristo di mettere le parole sulle nostre labbra e di farci segni del suo amore.
È dunque sempre come membri della comunità cristiana che noi offriamo la nostra testimonianza, e la nostra missione è resa feconda dalla comunione che viviamo nella Chiesa: dall’unità e dall’amore che abbiamo gli uni per gli altri ci riconosceranno come discepoli di Cristo (cfr Gv 13,35).
Cristo ha bisogno del vostro impegno e della vostra testimonianza. Nulla - né le difficoltà, né le incomprensioni - vi faccia rinunciare a portare il Vangelo di Cristo nei luoghi in cui vi trovate: ognuno di voi è prezioso nel grande mosaico dell’evangelizzazione!
La Chiesa ha fiducia in voi e vi è profondamente grata per la gioia e il dinamismo che portate: usate i vostri talenti con generosità al servizio dell’annuncio del Vangelo! Sappiamo che lo Spirito Santo si dona a coloro che, in umiltà di cuore, si rendono disponibili a tale annuncio. E non abbiate paura: Gesù, Salvatore del mondo, è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20)!
Oggi non pochi giovani dubitano profondamente che la vita sia un bene e non vedono chiarezza nel loro cammino. Più in generale, di fronte alle difficoltà del mondo contemporaneo, molti si chiedono: io che cosa posso fare? La luce della fede illumina questa oscurità, ci fa comprendere che ogni esistenza ha un valore inestimabile, perché frutto dell’amore di Dio. Egli ama anche chi si è allontanato da Lui o lo ha dimenticato: ha pazienza e attende; anzi, ha donato il suo Figlio, morto e risorto, per liberarci radicalmente dal male.
Cari giovani, voi siete i primi missionari tra i vostri coetanei!
Alla fine del Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui quest’anno celebriamo il 50° anniversario, il Servo di Dio Paolo VI consegnò ai giovani e alle giovani del mondo un Messaggio che si apriva con queste parole: «E’ a voi, giovani uomini e donne del mondo intero, che il Concilio vuole rivolgere il suo ultimo messaggio. Perché siete voi che raccoglierete la fiaccola dalle mani dei vostri padri e vivrete nel mondo nel momento delle più gigantesche trasformazioni della sua storia. Siete voi che, raccogliendo il meglio dell’esempio e dell’insegnamento dei vostri genitori e dei vostri maestri, formerete la società di domani: voi vi salverete o perirete con essa». E concludeva con un appello: «Costruite nell’entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!» (Messaggio ai giovani, 8 dicembre 1965).
Il progresso tecnico ci ha offerto possibilità inedite di interazione tra uomini e tra popolazioni, ma la globalizzazione di queste relazioni sarà positiva e farà crescere il mondo in umanità solo se sarà fondata non sul materialismo ma sull’amore, l’unica realtà capace di colmare il cuore di ciascuno e di unire le persone. Dio è amore. L’uomo che dimentica Dio è senza speranza e diventa incapace di amare il suo simile.
Il Beato Giovanni Paolo II scriveva: «La fede si rafforza donandola» (Enc. Redemptoris missio, 2). Annunciando il Vangelo voi stessi crescete nel radicarvi sempre più profondamente in Cristo, diventate cristiani maturi.
Impegnandovi a servire gli altri e ad annunciare loro il Vangelo, la vostra vita, spesso frammentata tra diverse attività, troverà la sua unità nel Signore, costruirete anche voi stessi, crescerete e maturerete in umanità.
Imparate a rileggere la vostra storia personale, prendete coscienza anche della meravigliosa eredità delle generazioni che vi hanno preceduto: tanti credenti ci hanno trasmesso la fede con coraggio, affrontando prove e incomprensioni. Non dimentichiamolo mai: facciamo parte di una catena immensa di uomini e donne che ci hanno trasmesso la verità della fede e contano su di noi affinché altri la ricevano. Abbiate il coraggio di «partire» da voi stessi per «andare» verso gli altri e guidarli all’incontro con Dio.
Mediante il Battesimo, che ci genera a vita nuova, lo Spirito Santo prende dimora in noi e infiamma la nostra mente e il nostro cuore: è Lui che ci guida a conoscere Dio e ad entrare in amicizia sempre più profonda con Cristo; è lo Spirito che ci spinge a fare il bene, a servire gli altri, a donare noi stessi. Attraverso la Confermazione, poi, siamo fortificati dai suoi doni per testimoniare in modo sempre più maturo il Vangelo. È dunque lo Spirito d’amore l’anima della missione: ci spinge ad uscire da noi stessi, per «andare» ed evangelizzare.
Cari amici, non dimenticate mai che il primo atto di amore che potete fare verso il prossimo è quello di condividere la sorgente della nostra speranza: chi non dà Dio, dà troppo poco! Vorrei che ciascuno si chiedesse: ho mai avuto il coraggio di proporre il Battesimo a giovani che non l’hanno ancora ricevuto? Ho invitato qualcuno a seguire un cammino di scoperta della fede cristiana?
Cari amici, non temete di proporre ai vostri coetanei l’incontro con Cristo. Invocate lo Spirito Santo: Egli vi guiderà ad entrare sempre più nella conoscenza e nell’amore di Cristo e vi renderà creativi nel trasmettere il Vangelo.
Di fronte alle difficoltà della missione di evangelizzare, talvolta sarete tentati di dire come il profeta Geremia: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Ma anche a voi Dio risponde: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,6-7). Quando vi sentite inadeguati, incapaci, deboli nell’annunciare e testimoniare la fede, non abbiate timore. L’evangelizzazione non è una nostra iniziativa e non dipende anzitutto dai nostri talenti, ma è una risposta fiduciosa e obbediente alla chiamata di Dio, e perciò si basa non sulla nostra forza, ma sulla sua. Lo ha sperimentato l’apostolo Paolo: «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2 Cor 4,7).
Dobbiamo prima parlare con Dio per poter parlare di Dio.
Nella preghiera, affidiamo al Signore le persone a cui siamo inviati, supplicandolo di toccare loro il cuore; domandiamo allo Spirito Santo di renderci suoi strumenti per la loro salvezza; chiediamo a Cristo di mettere le parole sulle nostre labbra e di farci segni del suo amore.
È dunque sempre come membri della comunità cristiana che noi offriamo la nostra testimonianza, e la nostra missione è resa feconda dalla comunione che viviamo nella Chiesa: dall’unità e dall’amore che abbiamo gli uni per gli altri ci riconosceranno come discepoli di Cristo (cfr Gv 13,35).
Cristo ha bisogno del vostro impegno e della vostra testimonianza. Nulla - né le difficoltà, né le incomprensioni - vi faccia rinunciare a portare il Vangelo di Cristo nei luoghi in cui vi trovate: ognuno di voi è prezioso nel grande mosaico dell’evangelizzazione!
La Chiesa ha fiducia in voi e vi è profondamente grata per la gioia e il dinamismo che portate: usate i vostri talenti con generosità al servizio dell’annuncio del Vangelo! Sappiamo che lo Spirito Santo si dona a coloro che, in umiltà di cuore, si rendono disponibili a tale annuncio. E non abbiate paura: Gesù, Salvatore del mondo, è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20)!
SANTA PASQUA 2012
"...Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio Isacco,
prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme".
(Gen 22, 6)
"...Nessuno accende una lucerna e la mette in luogo nascosto o sotto il moggio,
ma sopra il lucerniere, perché quanti entrano vedano la luce".
(Lc 11, 33)
"...quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una,
non accende la lucerna e spazza la casa
e cerca attentamente finché non la ritrova?".
(Lc 15, 8)
"Per trovare la dracma che avevi perduta, o Cristo,
hai acceso sulla croce la Tua Carne, o Buono".
(Tropario Bizantino)
O Trinità, nella peste del Peccato che infestò la tua creatura,
smarristi la dracma dell'umanità da Te bramata:
la perdesti nelle tenebre voraginose della storia.
Così, per condurre nuovamente a Te, o Padre,
coloro che fanno urlare d'amore le Tue viscere,
Ti ingegnasti di farti Lucerna:
desiderasti che il Verbo-Dio fosse anche Carne,
per avere in Lui una Tua Materia da ardere;
Anelasti che lo Spirito fosse Fuoco,
per avere il Lui una Tua potestà di bruciare .
Ma perché?
Affinché, sul lucerniere della croce, potessi ordinare a questo Fuoco di ardere quella Carne;
affinché potesse divampare il Rogo della Risurrezione,
Olocausto amoroso con cui avresti attratto alla Tua Bellezza il Tuo Popolo.
O Trinità, t'imploriamo, fai dilagare questo Incendio di Redenzione in noi:
la Tua perenne Pentecoste divori la nostra storia,
s'instauri la Tua Pasqua eterna nei nostri corpi ancora mortali.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme".
(Gen 22, 6)
"...Nessuno accende una lucerna e la mette in luogo nascosto o sotto il moggio,
ma sopra il lucerniere, perché quanti entrano vedano la luce".
(Lc 11, 33)
"...quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una,
non accende la lucerna e spazza la casa
e cerca attentamente finché non la ritrova?".
(Lc 15, 8)
"Per trovare la dracma che avevi perduta, o Cristo,
hai acceso sulla croce la Tua Carne, o Buono".
(Tropario Bizantino)
O Trinità, nella peste del Peccato che infestò la tua creatura,
smarristi la dracma dell'umanità da Te bramata:
la perdesti nelle tenebre voraginose della storia.
Così, per condurre nuovamente a Te, o Padre,
coloro che fanno urlare d'amore le Tue viscere,
Ti ingegnasti di farti Lucerna:
desiderasti che il Verbo-Dio fosse anche Carne,
per avere in Lui una Tua Materia da ardere;
Anelasti che lo Spirito fosse Fuoco,
per avere il Lui una Tua potestà di bruciare .
Ma perché?
Affinché, sul lucerniere della croce, potessi ordinare a questo Fuoco di ardere quella Carne;
affinché potesse divampare il Rogo della Risurrezione,
Olocausto amoroso con cui avresti attratto alla Tua Bellezza il Tuo Popolo.
O Trinità, t'imploriamo, fai dilagare questo Incendio di Redenzione in noi:
la Tua perenne Pentecoste divori la nostra storia,
s'instauri la Tua Pasqua eterna nei nostri corpi ancora mortali.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
Cristo è la Risurrezione e la vita
http://www.avvenire.it/Rubriche/Pagine/Il%20Vangelo/Cristo%20e%20la%20Risurrezione%20e%20la%20vita_20120405.aspx?Rubrica=Il Vangelo
Tempo di Quaresima
Abitare la vita è anche seguire il ritmo della Parola che ogni giorno ci viene donata. Mi sono lasciata condurre in questo incontro e ho lasciato alle mie parole di dare un appuntamento quotidiano alla Parola di Dio. Potremmo provare anche noi…
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: "Non ucciderai"; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: "Stupido", dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: "Pazzo", sarà destinato al fuoco della Geènna.Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo!».
Quanta strada dovremmo fare per andare in cerca di tutti quelli a cui abbiamo fatto o detto qualcosa di male, lasciandolo li il tutto, cioè non cercando di mutare la situazione da violenta in pacifica!
Mi ricordo qualche anno fa, in una delle pochissime volte in cui qualcuno dopo la messa si è avvicinato e mi ha fatto partecipe del suo sentire: ebbene, un anziano arriva e mi ringrazia per le parole dette. Siccome era un giorno feriale, nel quale non avevo spiaccicato alcuna parola di commento al vangelo, chiesi quali erano le parole che lo avevano così colpito. Lui, felice e commosso, disse con parole sue questo richiamo di Gesù a far pace prima di accostarsi all'altare. Non le aveva mai ascoltare, capite? Cioè, le aveva senz'altro ascoltare, ma non le aveva mai fatte sue...e noi?
Sta tutto nelle nostre mani, veramente! Possiamo rispondere al male col male, facendo a braccio di ferro, o possiamo porgere l'altra guancia, non per farcene dare un'altra. Neanche Gesù è così masochista: al soldato che lo percuote, chiede: perché mi percuoti? Lo invita a leggere dentro il suo gesto e a dargli un significato. A Gesù importa che ritorniamo all'amore, e a volte può esser necessario chiedere all'altro: perché mi hai fatto male?
L'altra guancia è quella che non ha i segni della sberla, ecco il segreto. Se mostro la stessa guancia ferita, segnata dal male, dico all'altro che non ho dimenticato, che non sono andato oltre, che ancora non ho perdonato, non ho voltato pagina, e dunque non sono pronto a iniziare una relazione nuova.
Si ricomincia non da un torto subito, non dal rinfacciare un torto ricevuto, ma dalla capacità di andare oltre, di dimenticarlo, di cambiarlo: non c'è più il ricordo dello schiaffo, nulla è pregiudicato, tutto può ricominciare. E' l'atteggiamento di chi dice all'altro: possiamo riprendere come se quello che è successo fra noi non fosse successo. Non perché tu hai dimenticato, ma perché tu hai risolto.
Porgere l'altra guancia è dunque dire: "Non ho più scritto nella mia carne il segno del tuo schiaffo, e così possiamo dare un nuovo inizio al nostro rapporto". In fondo dipende sempre da me sentire male, certo il dolore quello si sente, ma il male interiore quello lo decido io.
Hetty Hillesum, morta ad Auschwitz, scrive: "Per umiliare qualcuno si deve essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lasci umiliare. Se manca il secondo, e cioè se la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell'aria.... Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile ma non è grave"
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: "Non ucciderai"; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: "Stupido", dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: "Pazzo", sarà destinato al fuoco della Geènna.Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo!».
Quanta strada dovremmo fare per andare in cerca di tutti quelli a cui abbiamo fatto o detto qualcosa di male, lasciandolo li il tutto, cioè non cercando di mutare la situazione da violenta in pacifica!
Mi ricordo qualche anno fa, in una delle pochissime volte in cui qualcuno dopo la messa si è avvicinato e mi ha fatto partecipe del suo sentire: ebbene, un anziano arriva e mi ringrazia per le parole dette. Siccome era un giorno feriale, nel quale non avevo spiaccicato alcuna parola di commento al vangelo, chiesi quali erano le parole che lo avevano così colpito. Lui, felice e commosso, disse con parole sue questo richiamo di Gesù a far pace prima di accostarsi all'altare. Non le aveva mai ascoltare, capite? Cioè, le aveva senz'altro ascoltare, ma non le aveva mai fatte sue...e noi?
Sta tutto nelle nostre mani, veramente! Possiamo rispondere al male col male, facendo a braccio di ferro, o possiamo porgere l'altra guancia, non per farcene dare un'altra. Neanche Gesù è così masochista: al soldato che lo percuote, chiede: perché mi percuoti? Lo invita a leggere dentro il suo gesto e a dargli un significato. A Gesù importa che ritorniamo all'amore, e a volte può esser necessario chiedere all'altro: perché mi hai fatto male?
L'altra guancia è quella che non ha i segni della sberla, ecco il segreto. Se mostro la stessa guancia ferita, segnata dal male, dico all'altro che non ho dimenticato, che non sono andato oltre, che ancora non ho perdonato, non ho voltato pagina, e dunque non sono pronto a iniziare una relazione nuova.
Si ricomincia non da un torto subito, non dal rinfacciare un torto ricevuto, ma dalla capacità di andare oltre, di dimenticarlo, di cambiarlo: non c'è più il ricordo dello schiaffo, nulla è pregiudicato, tutto può ricominciare. E' l'atteggiamento di chi dice all'altro: possiamo riprendere come se quello che è successo fra noi non fosse successo. Non perché tu hai dimenticato, ma perché tu hai risolto.
Porgere l'altra guancia è dunque dire: "Non ho più scritto nella mia carne il segno del tuo schiaffo, e così possiamo dare un nuovo inizio al nostro rapporto". In fondo dipende sempre da me sentire male, certo il dolore quello si sente, ma il male interiore quello lo decido io.
Hetty Hillesum, morta ad Auschwitz, scrive: "Per umiliare qualcuno si deve essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lasci umiliare. Se manca il secondo, e cioè se la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell'aria.... Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile ma non è grave"
Il frutto che cade...
Cosa accade nella tela della "Madonna del Mare" di Botticelli (1477)? Cosa vuole dire alla nostra vita questa opera? Nella scena c'è un Bimbo ritratto nell'atto di cibarsi di un frutto, Egli infatti è raffigurato già con la Bocca aperta, pronta a masticare il cibo che ha tra le mani. All'improvviso però qualcosa Lo blocca: l'Infante si trova con lo sguardo inchiodato ad una Donna. Ma perché questa attrazione? Cosa avrà mai Dio, che è la scaturigine di ogni stupore, tanto da stupire? Cristo, in quella Donna, stupisce di Sé. In Lei, l'unica ad essere già tutta Lui (Col 3, 11), Egli ammira la Bellezza del proprio Volto, dilatato totalmente nell'umanità che è venuto a redimere. E' così che, calamitato dal Suo stesso Splendore, lascia cadere per terra i chicchi di melograno destinati a riempire il suo stomaco. Ma perché? Forse lo stupore lo priva della fame? No. Egli, che non si ciba di altro se non della volontà del Padre (Gv 4, 34), nella Vergine scorge già compiuta questa volontà: in Maria il Nazareno trova già il Suo pasto. La volontà del Padre infatti è "Cristo in noi" (Col 1, 27) e nella Vergine questo Suo progetto è già Architettura compiuta, compiuta dallo Spirito (Lc 1, 35). Per questo Gesù lascia cadere per terra il frutto, non per altro. In Maria, Chiesa Prima, Cristo inizia a saziarsi della Sua Sposa, principiando al contempo ad appagare anche il Padre nel Suo desiderio, come lo Spirito nei Suoi gemiti inesprimibili (Rm 8, 26).
Ma cosa succede invece a noi, contemplando Cristo in Maria? Cosa accade cioè fissando Lui nella nostra carne di Chiesa? Anche noi finalmente lasciamo cadere per terra il nostro frutto, quello del Peccato (Gen 3, 6). Gloria a te Bambina di Nazareth. Gloria a Te Donna, che hai calamitato Dio nel tuo sangue.
Ma cosa succede invece a noi, contemplando Cristo in Maria? Cosa accade cioè fissando Lui nella nostra carne di Chiesa? Anche noi finalmente lasciamo cadere per terra il nostro frutto, quello del Peccato (Gen 3, 6). Gloria a te Bambina di Nazareth. Gloria a Te Donna, che hai calamitato Dio nel tuo sangue.
Giorno di lacrime, quel Giorno...
"Lacrimosa dies illa, qua resurget ex favilla / Judicandus homo reus".
Giorno di lacrime, quello, quando risorgerà dalla cenere / Il peccatore per essere giudicato. (Composizione latina medioevale, attribuita a Tommaso da Celano).
"E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; / non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, / perché le cose di prima sono passate". (Ap 21, 4)
Lacrimosa dies illa!*
Quel Giorno, il Giorno, l'Unico, di lacrime sarà. Ma com'è possibile questo? E' proclamato infatti dalla Verità che Cristo tergerà ogni lacrima dai nostri occhi, è detto dalla Verità che non ci sarà più né lutto, né pianto (Ap 21, 4). Allora di Chi saranno queste lacrime? Di che natura questo pianto?
In Verità, in Verità ci è detto che Egli tergerà ogni lacrima dai nostri occhi e non dai Suoi. Entrati noi totalmente nel Regno, tutta la Trinità piangerà nel Cristo. Oh se piangerà! Nel Regno compiuto, i fiumi, i torrenti e gli oceani saranno lacrime sgorgate dagli Occhi del Nazareno. In esse bagneremo le nostre Carni, gloriose dell'unico Corpo.
Egli, asciugando le nostre lacrime, non potrà trattenere le Sue dalla gioia che Gli diromperà commossa in cuore. Egli tergendo le nostre lacrime, non potrà frenare le Sue di Sposo fremente."Giorno di lacrime, quel Giorno" sì, perché un flussi inesauribili ne strariperanno dalla letizia Divina.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antoniog
http://www.youtube.com/watch?v=1WvuJwMFPz4 *
Questo pensiero, un po' confuso, è nato dalla visione di questo video tratto dall'opera di Terrence Malick "The tree of life". Nello specifico è stupefacente, originalissima, l'interpretazione musicale che il compositore Preisner compie del brano "Lacrimosa" tratto dal testo "Dies Irae": non più terrore, ma intimità solenne, intima come il cuore di Lui, solenne come l'Eternità con cui saremo cinti
"Lacrimosa dies illa, qua resurget ex favilla / Judicandus homo reus".
Giorno di lacrime, quello, quando risorgerà dalla cenere / Il peccatore per essere giudicato. (Composizione latina medioevale, attribuita a Tommaso da Celano).
"E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; / non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, / perché le cose di prima sono passate". (Ap 21, 4)
Lacrimosa dies illa!*
Quel Giorno, il Giorno, l'Unico, di lacrime sarà. Ma com'è possibile questo? E' proclamato infatti dalla Verità che Cristo tergerà ogni lacrima dai nostri occhi, è detto dalla Verità che non ci sarà più né lutto, né pianto (Ap 21, 4). Allora di Chi saranno queste lacrime? Di che natura questo pianto?
In Verità, in Verità ci è detto che Egli tergerà ogni lacrima dai nostri occhi e non dai Suoi. Entrati noi totalmente nel Regno, tutta la Trinità piangerà nel Cristo. Oh se piangerà! Nel Regno compiuto, i fiumi, i torrenti e gli oceani saranno lacrime sgorgate dagli Occhi del Nazareno. In esse bagneremo le nostre Carni, gloriose dell'unico Corpo.
Egli, asciugando le nostre lacrime, non potrà trattenere le Sue dalla gioia che Gli diromperà commossa in cuore. Egli tergendo le nostre lacrime, non potrà frenare le Sue di Sposo fremente."Giorno di lacrime, quel Giorno" sì, perché un flussi inesauribili ne strariperanno dalla letizia Divina.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antoniog
http://www.youtube.com/watch?v=1WvuJwMFPz4 *
Questo pensiero, un po' confuso, è nato dalla visione di questo video tratto dall'opera di Terrence Malick "The tree of life". Nello specifico è stupefacente, originalissima, l'interpretazione musicale che il compositore Preisner compie del brano "Lacrimosa" tratto dal testo "Dies Irae": non più terrore, ma intimità solenne, intima come il cuore di Lui, solenne come l'Eternità con cui saremo cinti
“Due forze regnano sull’universo: luce e pesantezza” (Simone Weil)…
…Quanto qui affermato dalla Weil fu vero sì, e come se fu vero! Lo fu mortalmente. Ma nel remoto eone: ora non più. Un’altra Era è la nostra. L’Incarnazione ha spezzato la separazione dei due antichi regimi: Luce e Pesantezza non sono più potenze contrarie, non più antitetiche. Esse sono confluite in un solo Impero amoroso: lo spazio della Carne di Cristo, unico Regno (cfr. Mt 7, 21). Il Nazareno, infatti, nel mentre Si dona quale Vita, che è Luce degli uomini (cfr. Gv 1, 4), Si dà anche quale Corpo reale, che sussiste in un Suo proprio Peso (cfr. Gv 1, 14). Peso che è la consistenza della Gloria e Calibro del Suo Amore.
Che Mistero portentoso! Piangete pietre, spaccate o uomini la vostra scorza e divenite cuori pulsanti! Il Cristo pur essendo Luce nella Sua Divinità, nella Sua Umanità è un Concreto, è un Pondus obbediente alla gravità. Il Redentore pur essendo Bagliore al contempo è anche Massa, che proietta una Sua propria Ombra. La Salvezza, adesso, è stare nel cono di quell'Ombra. Essere all'Ombra della Grazia ora coincide con il lasciarsi abbagliare dal Suo Corpo di Luce. Il Compimento umano è esporsi all’alone Carnale del Suo Fulgore divino: è stazionare dinanzi all’Essere del Risorto, per lasciarsi assorbire dal Sole dei Suoi Tessuti.
E' per questa via, che iniziamo a splendere fin da ora di quel Bagliore in cui alla Fine saremo stabilizzati (cfr. Mt 13, 43). Sì, perché noi -alla Fine- pulseremo quale Sole, sprigioneremo dalla pelle Cristica Luce.
Santo Natale 2011
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
La Fanciulla di Nazareth,
Telaio in cui lo Spirito tesse Cristo in noi,
ci sia Madre: ci ponga nel Seno del Padre.
Che Mistero portentoso! Piangete pietre, spaccate o uomini la vostra scorza e divenite cuori pulsanti! Il Cristo pur essendo Luce nella Sua Divinità, nella Sua Umanità è un Concreto, è un Pondus obbediente alla gravità. Il Redentore pur essendo Bagliore al contempo è anche Massa, che proietta una Sua propria Ombra. La Salvezza, adesso, è stare nel cono di quell'Ombra. Essere all'Ombra della Grazia ora coincide con il lasciarsi abbagliare dal Suo Corpo di Luce. Il Compimento umano è esporsi all’alone Carnale del Suo Fulgore divino: è stazionare dinanzi all’Essere del Risorto, per lasciarsi assorbire dal Sole dei Suoi Tessuti.
E' per questa via, che iniziamo a splendere fin da ora di quel Bagliore in cui alla Fine saremo stabilizzati (cfr. Mt 13, 43). Sì, perché noi -alla Fine- pulseremo quale Sole, sprigioneremo dalla pelle Cristica Luce.
Santo Natale 2011
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
La Fanciulla di Nazareth,
Telaio in cui lo Spirito tesse Cristo in noi,
ci sia Madre: ci ponga nel Seno del Padre.
L'esercizio di ogni giorno
Nella vita niente è automatico o fortuito. Diventa tuo davvero solo quello che scegli e
metti in gioco, provando e riprovando ogni giorno. Proprio come in una palestra...
Nella vita capita di imbattersi in avvenimenti che ci lasciano delle tracce molto forti o di incontrare persone o messaggi che ci caricano di energia. Siamo tornati a casa e quell’energia l’abbiamo sentita addosso per un bel po’ di tempo. Ma con una caratteristica:
giorno per giorno quella forza tendeva a diminuire, fino a scomparire, talvolta. è un fenomeno che si chiama “forza d’inerzia”, l’abbiamo studiato anche a scuola. Di fatto in quei giorni quella forza, quella spinta non era la nostra, apparteneva ancora a quella persona o a quel fatto che ce l’aveva regalata. Ho osservato che alcune persone
invece dopo qualche mese sono più cariche e migliori, hanno preso l’energia o l’esperienza da qualcun altro e l’hanno poi ampliata, approfondita, l’hanno fatta propria. Non vanno avanti per forza d’inerzia, ma grazie ad una personale e speciale energia che viene da dentro e non più dagli altri.
Mi sono chiesto quale fosse la chiave che determinasse questa differenza e mi sono imbattuto in una regola di vita da cui non si può scappare: bisogna fare palestra.
Non solo le componenti fisiche o intellettive della nostra persona hanno bisogno di essere esercitate, ma la stessa regola vale anche per quelle spirituali, per i valori, gli atteggiamenti.
Nella vita non c'è niente di automatico o di fortuito. Diventa tuo solo quello che coltivi e custodisci, quello che scegli e metti in gioco, provando e riprovando.
Con la stessa passione dell’atleta che perde e ritrova di continuo la propria condizione,
con la stessa pazienza del contadino che sa di dover ripetere mille volte lo stesso gesto, prima di cominciare a vedere qualche frutto.
La palestra rappresenta un’assunzione di responsabilità verso noi stessi: puoi trascorrere i tuoi giorni lamentandoti o puoi acquisire la proprietà di ciò che ti sembra bello e di ciò che ti appare vero. Ma che significa fare palestra? Per spiegarlo dico sempre che bisogna seguire, per analogia, l’immagine e l’idea della palestra vera e propria: c’è un luogo,
ci sono degli attrezzi, c’è una sequenza di gesti da compiere, aumentando giorno per giorno la quantità o l’intensità di ciò che facciamo. E ci sono i giorni neri, quelli in cui ci prende il fiatone e non si combina niente e ci assale la sensazione che stiamo peggiorando. Chi va in palestra sa che succede anche questo e non se ne fa un problema.
Se c’è una cosa nella vita che ti piace o in cui hai cominciato a credere, sappi che, esercitandola, quella cosa diventa parte di te. Ma c’è un altro aspetto su cui vorrei porre la tua attenzione: gli esseri umani diventano ciò che ripetono più spesso. Quindi ti chiedo: tu cosa ripeti più spesso nelle tue giornate? Che cosa custodisci e coltivi nel tuo cuore? Sappi che cresce e si radica in te la cosa su cui fai palestra quotidiana. Puoi non esserne consapevole e in questo caso potresti davvero correre dei rischi. O sai cosa ti
preme nella vita e lo eserciti tutti i giorni, oppure potresti stare a coltivare cose velenose per te, cose che potrebbero danneggiarti. Non è in gioco la domanda se fai palestra o no, perché qualcosa comunque stai esercitando, è inevitabile. È in gioco la domanda che ti ho posto e che mi debbo porre; a che cosa dedichiamo più tempo, più attenzione, più pensiero?
Il contadino nel campo vede crescere anche le erbacce - ricordate la parabola? - sa che ci possono essere e non butta via tutto il campo per questo. Ma non le coltiva le erbacce e a tempo debito farà le sue scelte.
Anche le cose negative possono aver valore e significato per noi. E possono anche farci crescere. Ma contengono un problema con cui bisogna fare i conti: hanno un’energia più forte delle altre, che a volte ci cattura, a volte perfino ci affascina. Se fai palestra su quelle, rischi davvero di addestrare ciò che temi e di potenziare ciò che ti distrugge.
Osserva la cosa su cui ogni giorno fai palestra, chiediti se è quello che vuoi e se rappresenta per te ciò per cui vale la pena vivere.
Grazia
Nella vita niente è automatico o fortuito. Diventa tuo davvero solo quello che scegli e
metti in gioco, provando e riprovando ogni giorno. Proprio come in una palestra...
Nella vita capita di imbattersi in avvenimenti che ci lasciano delle tracce molto forti o di incontrare persone o messaggi che ci caricano di energia. Siamo tornati a casa e quell’energia l’abbiamo sentita addosso per un bel po’ di tempo. Ma con una caratteristica:
giorno per giorno quella forza tendeva a diminuire, fino a scomparire, talvolta. è un fenomeno che si chiama “forza d’inerzia”, l’abbiamo studiato anche a scuola. Di fatto in quei giorni quella forza, quella spinta non era la nostra, apparteneva ancora a quella persona o a quel fatto che ce l’aveva regalata. Ho osservato che alcune persone
invece dopo qualche mese sono più cariche e migliori, hanno preso l’energia o l’esperienza da qualcun altro e l’hanno poi ampliata, approfondita, l’hanno fatta propria. Non vanno avanti per forza d’inerzia, ma grazie ad una personale e speciale energia che viene da dentro e non più dagli altri.
Mi sono chiesto quale fosse la chiave che determinasse questa differenza e mi sono imbattuto in una regola di vita da cui non si può scappare: bisogna fare palestra.
Non solo le componenti fisiche o intellettive della nostra persona hanno bisogno di essere esercitate, ma la stessa regola vale anche per quelle spirituali, per i valori, gli atteggiamenti.
Nella vita non c'è niente di automatico o di fortuito. Diventa tuo solo quello che coltivi e custodisci, quello che scegli e metti in gioco, provando e riprovando.
Con la stessa passione dell’atleta che perde e ritrova di continuo la propria condizione,
con la stessa pazienza del contadino che sa di dover ripetere mille volte lo stesso gesto, prima di cominciare a vedere qualche frutto.
La palestra rappresenta un’assunzione di responsabilità verso noi stessi: puoi trascorrere i tuoi giorni lamentandoti o puoi acquisire la proprietà di ciò che ti sembra bello e di ciò che ti appare vero. Ma che significa fare palestra? Per spiegarlo dico sempre che bisogna seguire, per analogia, l’immagine e l’idea della palestra vera e propria: c’è un luogo,
ci sono degli attrezzi, c’è una sequenza di gesti da compiere, aumentando giorno per giorno la quantità o l’intensità di ciò che facciamo. E ci sono i giorni neri, quelli in cui ci prende il fiatone e non si combina niente e ci assale la sensazione che stiamo peggiorando. Chi va in palestra sa che succede anche questo e non se ne fa un problema.
Se c’è una cosa nella vita che ti piace o in cui hai cominciato a credere, sappi che, esercitandola, quella cosa diventa parte di te. Ma c’è un altro aspetto su cui vorrei porre la tua attenzione: gli esseri umani diventano ciò che ripetono più spesso. Quindi ti chiedo: tu cosa ripeti più spesso nelle tue giornate? Che cosa custodisci e coltivi nel tuo cuore? Sappi che cresce e si radica in te la cosa su cui fai palestra quotidiana. Puoi non esserne consapevole e in questo caso potresti davvero correre dei rischi. O sai cosa ti
preme nella vita e lo eserciti tutti i giorni, oppure potresti stare a coltivare cose velenose per te, cose che potrebbero danneggiarti. Non è in gioco la domanda se fai palestra o no, perché qualcosa comunque stai esercitando, è inevitabile. È in gioco la domanda che ti ho posto e che mi debbo porre; a che cosa dedichiamo più tempo, più attenzione, più pensiero?
Il contadino nel campo vede crescere anche le erbacce - ricordate la parabola? - sa che ci possono essere e non butta via tutto il campo per questo. Ma non le coltiva le erbacce e a tempo debito farà le sue scelte.
Anche le cose negative possono aver valore e significato per noi. E possono anche farci crescere. Ma contengono un problema con cui bisogna fare i conti: hanno un’energia più forte delle altre, che a volte ci cattura, a volte perfino ci affascina. Se fai palestra su quelle, rischi davvero di addestrare ciò che temi e di potenziare ciò che ti distrugge.
Osserva la cosa su cui ogni giorno fai palestra, chiediti se è quello che vuoi e se rappresenta per te ciò per cui vale la pena vivere.
Grazia
...Ho avuto la grazia sconvolgente di entrare nel Tempio della Sagrada Familia e ho l'urgenza di testimoniare quanto ho visto. Lo farò in pochi passaggi sciolti, che si preoccupano più di condividere una commozione che di esser esaustivi: In questo luogo sono stato posseduto, in disarmante semplicità e poderosa possenza, dalla percezione storica della Gloria eterna. Gli occhi sono stati riempiti da un nugolo gorgogliante di bellezza accesa. Questa architettura è il più grande trattato di Mistica della Materia che sia mai stato scritto: ciò che Dante ha enunciato con le terzine, Gaudì lo ha detto con le forme; ciò che San Giovanni della Croce ha comunicato con il Cantico, Gaudì lo ha proclamato con la luce; ciò che Mozart ha composto nelle sue Messe, Gaudì lo ha scolpito con gli spazi; ciò che Bach ha dettato nelle sue fughe, Gaudì lo ha urlato nelle proporzioni.
Siamo stati educati dalla Chiesa a verificare per la nostra vita che la Trinità ha il potere di far germogliare i fiori dalle rocce. Se questo è vero, allora la Tri-Unità ha anche il potere di saltare un passaggio, facendo germogliare la roccia stessa. Ebbene in Gaudì tutto questo è accaduto: non i fiori sono sbocciati fra le rocce, ma la roccia è sbocciata come fiore. La Sagrada è un enorme pietra sbocciata, sbocciata in brulicanti e torrenziali sciami di gloria visiva. San Paolo afferma che: "La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità -non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa- e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo" (Rm 8, 19-23).
Ebbene, nella Sagrada Familia la creazione, la materia è come se avesse bruciato i tempi del proprio parto, urlato tutte le sue doglie, soddisfatto la propria impazienza. Qui, in quest'angolo di Barcellona, è come se il mondo fisico avesse preceduto l'uomo nella Sua Risurrezione, risorgendo esso stesso. Nell'estetica di questo Tempio la materia non atteso la nostra glorificazione, ma si è lasciata compiere dallo Spirito anticipandoci. Ma perché questa fretta? Allo scopo di ingolosire noi della gloria che ci attende. Ciò è così vero che scrutando questa architettura il cuore diviene bramoso di vedere la propria carne glorificata. Il cuore qui si chiede: "ma se questo spettacolo è ciò che lo Spirito compie nella materia inanimata, cosa farà della mia carne?!". Sì, questo luogo accende il desiderio di corporale risurrezione. Il Tempio di Gaudì testimonia che nel Battesimo il Padre ha aperto nella nostra carne il parusìaco cantiere della redenzione, dona in contemplazione che lo Spirito da sublime architetto sta dirigendo l'Opera della salvezza nei nostri corpi: la Sagrada mostra che il Paràclito ci sta edificando addosso la Pietra angolare del Risorto. Visitare questa costruzione comunica la certezza che i nostri corpi, le nostre anatomie, le nostre carni sono poderose cattedrali di Cristica materia in costruzione. Non dico altro. Godiamo già da ora e di gloria indicibile per questo gratuito fulgore.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
Siamo stati educati dalla Chiesa a verificare per la nostra vita che la Trinità ha il potere di far germogliare i fiori dalle rocce. Se questo è vero, allora la Tri-Unità ha anche il potere di saltare un passaggio, facendo germogliare la roccia stessa. Ebbene in Gaudì tutto questo è accaduto: non i fiori sono sbocciati fra le rocce, ma la roccia è sbocciata come fiore. La Sagrada è un enorme pietra sbocciata, sbocciata in brulicanti e torrenziali sciami di gloria visiva. San Paolo afferma che: "La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità -non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa- e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo" (Rm 8, 19-23).
Ebbene, nella Sagrada Familia la creazione, la materia è come se avesse bruciato i tempi del proprio parto, urlato tutte le sue doglie, soddisfatto la propria impazienza. Qui, in quest'angolo di Barcellona, è come se il mondo fisico avesse preceduto l'uomo nella Sua Risurrezione, risorgendo esso stesso. Nell'estetica di questo Tempio la materia non atteso la nostra glorificazione, ma si è lasciata compiere dallo Spirito anticipandoci. Ma perché questa fretta? Allo scopo di ingolosire noi della gloria che ci attende. Ciò è così vero che scrutando questa architettura il cuore diviene bramoso di vedere la propria carne glorificata. Il cuore qui si chiede: "ma se questo spettacolo è ciò che lo Spirito compie nella materia inanimata, cosa farà della mia carne?!". Sì, questo luogo accende il desiderio di corporale risurrezione. Il Tempio di Gaudì testimonia che nel Battesimo il Padre ha aperto nella nostra carne il parusìaco cantiere della redenzione, dona in contemplazione che lo Spirito da sublime architetto sta dirigendo l'Opera della salvezza nei nostri corpi: la Sagrada mostra che il Paràclito ci sta edificando addosso la Pietra angolare del Risorto. Visitare questa costruzione comunica la certezza che i nostri corpi, le nostre anatomie, le nostre carni sono poderose cattedrali di Cristica materia in costruzione. Non dico altro. Godiamo già da ora e di gloria indicibile per questo gratuito fulgore.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
"Sono venuto a portare il Fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!" (Lc 12, 49)
Pentecoste, William Congdon
Il primo Prometeo salì sul monte degli dèi per rubare all'ostile Zeus il fuoco, prefiggendosi di consegnarlo finalmente agli uomini;
L'Ultimo Prometeo invece, che è il Cristo, non salì un monte divino, ma discese l'abisso umano: sprofondò nella carne.
Fece questo per ricevere dal Padre -trepidante per gli uomini- il Fuoco dello Spirito, allo scopo di irrorare i corpi dei Suoi Santi.
L'antico titano prese possesso del fuoco giusto accendendone un tizzone inanimato;
Il Nazareno invece fece di più: diede tutto Sé stesso in possesso del Fuoco dello Spirito, appiccando del Paràclito la Sua stessa Carne.
La combustione che da questo ne derivò si chiama Croce, la luce esplosa da questo perenne incendio Risurrezione, la fiamma Battesimale che da allora divampa nelle epoche -sin dentro i nostri corpi- prende il nome di Pentecoste redentiva.
il Fuoco sulla terra è stato riversato, il Rogo d'amore acceso (Lc 12, 49).
Godi ora, oh Cristo! Stai esaudendo il tuo ardente desiderio: la nuziale consumazione incalza, la Parusìa s'affretta.
con Amicizia
cioè in Lui
Antonio
L'Ultimo Prometeo invece, che è il Cristo, non salì un monte divino, ma discese l'abisso umano: sprofondò nella carne.
Fece questo per ricevere dal Padre -trepidante per gli uomini- il Fuoco dello Spirito, allo scopo di irrorare i corpi dei Suoi Santi.
L'antico titano prese possesso del fuoco giusto accendendone un tizzone inanimato;
Il Nazareno invece fece di più: diede tutto Sé stesso in possesso del Fuoco dello Spirito, appiccando del Paràclito la Sua stessa Carne.
La combustione che da questo ne derivò si chiama Croce, la luce esplosa da questo perenne incendio Risurrezione, la fiamma Battesimale che da allora divampa nelle epoche -sin dentro i nostri corpi- prende il nome di Pentecoste redentiva.
il Fuoco sulla terra è stato riversato, il Rogo d'amore acceso (Lc 12, 49).
Godi ora, oh Cristo! Stai esaudendo il tuo ardente desiderio: la nuziale consumazione incalza, la Parusìa s'affretta.
con Amicizia
cioè in Lui
Antonio
"La Verità è sinfonica" (H. U. von Balthasar)
...da poco tempo mi sono imbattuto nelle esecuzioni di Itzhak Perlman. Sono rimasto colpito, fortemente attratto dalle sue interpretazioni. E' un gigante. La cosa che mi affascina non è tanto la perfezione con cui esegue i pezzi, quanto il volto gaudiosamente estatico che gli si configura in faccia nel mentre è ghermito dalla melodia: l'assetto dei suoi lineamenti sfiora la beatitudine... si può affermare che il brano si espande sì dal violino, ma non diventa manifesto, non è armonia finché non si osserva il volto di lui: è nel suo volto che si contempla visivamente ciò che lo strumento espande e l'archetto produce. Uomo, violino e archetto sono così intimamente connessi che rivelano l'un l'altro -distintamente- il proprio ruolo, pur dentro un'unità inscindibile: loro tre insieme sono la musica.
Allo stesso modo accade per la Triade: Il Padre brandisce la Carne del Figlio, quella Carne di cui siamo espansione aggiunta, e con l'archetto dello Spirito espande nella storia l'armonia della redenzione, loro Tre insieme sono la Musica, loro Tre insieme sono la Salvezza, loro Tre insieme sono l'unico nostro Dio: la Verità è sinfonica!
Il brano dura poco: 4 minuti e mezzo
Buon ascolto.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
http://www.youtube.com/watch?v=pR8ABKpwm7w
P.S.: e se c'è voglia ecco il link per godersi il famoso e struggente tema di Schindler's List eseguito sempre da lui: http://www.youtube.com/watch?v=ueWVV_GnRIA
...da poco tempo mi sono imbattuto nelle esecuzioni di Itzhak Perlman. Sono rimasto colpito, fortemente attratto dalle sue interpretazioni. E' un gigante. La cosa che mi affascina non è tanto la perfezione con cui esegue i pezzi, quanto il volto gaudiosamente estatico che gli si configura in faccia nel mentre è ghermito dalla melodia: l'assetto dei suoi lineamenti sfiora la beatitudine... si può affermare che il brano si espande sì dal violino, ma non diventa manifesto, non è armonia finché non si osserva il volto di lui: è nel suo volto che si contempla visivamente ciò che lo strumento espande e l'archetto produce. Uomo, violino e archetto sono così intimamente connessi che rivelano l'un l'altro -distintamente- il proprio ruolo, pur dentro un'unità inscindibile: loro tre insieme sono la musica.
Allo stesso modo accade per la Triade: Il Padre brandisce la Carne del Figlio, quella Carne di cui siamo espansione aggiunta, e con l'archetto dello Spirito espande nella storia l'armonia della redenzione, loro Tre insieme sono la Musica, loro Tre insieme sono la Salvezza, loro Tre insieme sono l'unico nostro Dio: la Verità è sinfonica!
Il brano dura poco: 4 minuti e mezzo
Buon ascolto.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
http://www.youtube.com/watch?v=pR8ABKpwm7w
P.S.: e se c'è voglia ecco il link per godersi il famoso e struggente tema di Schindler's List eseguito sempre da lui: http://www.youtube.com/watch?v=ueWVV_GnRIA
«Qualunque cosa tu dica o faccia
C'è un grido dentro:
Non è per questo, non è per questo!
E così tutto rimanda
A una segreta domanda:
L'atto è un pretesto.
Nell'imminenza di Dio
La vita fa man bassa
sulle riserve caduche,
Mentre ciascuno si afferra
A un suo bene che gli grida: addio [...]»*.
...ma in questo deserto, già scorre carsica la Primavera:
si è insediato nella realtà un Urlo che è risposta totale alle tue doglie:
Cristo, grido di Carne esploso dalle labbra del Padre,
sta percuotendo la storia.
Egli divampa gagliardo nello Spirito
e si propaga veemente,
riempiendo di stabilità traboccante ogni carie e caducità.
*[Clemente Rebora, poeta e sacerdote rosminiano, 1885 -1957].
C'è un grido dentro:
Non è per questo, non è per questo!
E così tutto rimanda
A una segreta domanda:
L'atto è un pretesto.
Nell'imminenza di Dio
La vita fa man bassa
sulle riserve caduche,
Mentre ciascuno si afferra
A un suo bene che gli grida: addio [...]»*.
...ma in questo deserto, già scorre carsica la Primavera:
si è insediato nella realtà un Urlo che è risposta totale alle tue doglie:
Cristo, grido di Carne esploso dalle labbra del Padre,
sta percuotendo la storia.
Egli divampa gagliardo nello Spirito
e si propaga veemente,
riempiendo di stabilità traboccante ogni carie e caducità.
*[Clemente Rebora, poeta e sacerdote rosminiano, 1885 -1957].
"Avendo infatti la legge solo un'ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, non ha il potere di condurre alla perfezione"... (Eb 10, 1) La Scrittura ci dice che la Legge di Israele è ombra della realtà, in sé essa non vi è veicolo di salvezza, essa non può salvare. Cosa significa questo? Tentiamo di indagarne il senso. Ogni ombra, nella fisica naturale, si genera alla vista se sussistono tre condizioni: un corpo di cui l'ombra è proiezione, una luce che la proietti ed una fonte che emani questa luce. Quindi, se la Legge è ombra, è ombra di Qualcosa, se la Legge è ombra allora vi è anche un'Irradiazione che la proietta e se vi è irradiazione vi è una Scaturigine luminosa che la genera. Ebbene, il Corpo, la Realtà, il Bene futuro -e già presente- di cui la Legge è ombra è il Cristo, l'Irradiazione che satura la Sua Carne è lo Spirito, la Scaturigine da cui tutto promana è il Padre: ..."Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un Corpo invece mi hai preparato". (Eb.10,5) (Eb 5)
Nessuna legge può redimerci, solo l'Essere può: l'Essere amoroso della Tri-Unità.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
Nessuna legge può redimerci, solo l'Essere può: l'Essere amoroso della Tri-Unità.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
"Sapiente il Fuoco".
[frammento 7]
"...tutto governa la Folgore".
[frammento 9]
(Eraclìto, VI-V sec. a.C.)
Così come l'alto calore -di per sé invisibile- non diviene fuoco manifesto
se non prima ha una materia da bruciare, allo stesso modo, anche l'invisibile Spirito non si dà agli occhi se non nei corpi visibili che Egli arde. Ma chi è il Corpo che lo Spirito arde? La Chiesa, che è Sua fisica evidenza. Come si chiama questo Suo incendio permanente ed incalzante di Risurrezione? Pentecoste.
La Pentecoste è il fuoco stabile dello Spirito,
che brucia lo spazio dell'Apocalisse presente, affrettando la Parusìa.
Il Paràclito ci possegga e sprigioni da noi il soave odore del Cristo, unica volontà del Padre.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
[frammento 7]
"...tutto governa la Folgore".
[frammento 9]
(Eraclìto, VI-V sec. a.C.)
Così come l'alto calore -di per sé invisibile- non diviene fuoco manifesto
se non prima ha una materia da bruciare, allo stesso modo, anche l'invisibile Spirito non si dà agli occhi se non nei corpi visibili che Egli arde. Ma chi è il Corpo che lo Spirito arde? La Chiesa, che è Sua fisica evidenza. Come si chiama questo Suo incendio permanente ed incalzante di Risurrezione? Pentecoste.
La Pentecoste è il fuoco stabile dello Spirito,
che brucia lo spazio dell'Apocalisse presente, affrettando la Parusìa.
Il Paràclito ci possegga e sprigioni da noi il soave odore del Cristo, unica volontà del Padre.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
Il dolore non è altro che lo Spirito che squarcia la carne con i Suoi artigli...
Egli taglia la superficie dell'essere nostro per consentirci di scorgere, dal varco della ferita,
Colui che Risorto ne abita -incandescente e vittorioso- le profondità.
Oltre la soglia della ferita, la Presenza si staglia.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
Egli taglia la superficie dell'essere nostro per consentirci di scorgere, dal varco della ferita,
Colui che Risorto ne abita -incandescente e vittorioso- le profondità.
Oltre la soglia della ferita, la Presenza si staglia.
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
"Non piangere; ecco: ha vinto il Leone della tribù di Giuda". (Ap 5, 5)
"Gesù, emesso un forte grido, spirò". (Mc 15, 37)
"Ci si domanda perché [Egli] avrebbe gettato quel grido spaventoso. / Clamore che ancora risuona in ogni umanità; / O clamore culminante, eterno e valevole. / ...Il Giusto solo emise il clamore eterno. / Ma perché? Che aveva?/ ...Lui gettò il grido che risuonerà sempre, / eternamente sempre, il grido che non si spegnerà mai, / eternamente" (Charles Péguy, I Misteri).
Con questi versi grandiosi, il poeta francese si interroga sul vertiginoso e alto grido che Cristo ruggì dentro il culmine del sacrificio della propria Carne. Qual è il contenuto di questa esplosione? Quale il calibro di questo tuono che percuote ancora la storia? Perché Egli squarciò la sua gola in un grido che non aveva parole, ma solo clamore?
Tentiamo di indagare con tremore questo mistero. Quell'urlo in croce non ebbe parole perché queste erano già state proferite in precedenza; il significato di quel gemito era già stato proclamato da termini precisi che ne veicolavano il contenuto. Ma dove accadde tutto ciò?
Il Cristo iniziò a diffondere quel grido, con gli occhi straripanti di lacrime, dinanzi alla tomba del suo amato Lazzaro. Quell'urlo dinanzi al sepolcro dell'amico infatti non è un'altra cosa rispetto a quello lanciato in croce: sono un'unica dilacerazione. Questo è così vero che entrambi i gemiti, quello di Betania e quello del Calvario, vengono espressi dalla Scrittura addirittura con la stessa locuzione greca -foné megàle (forte grido)- come a suggerirci che essi sono due fenomeni di un unico evento.
Gesù dinanzi alla morte del suo Lazzaro iniziò a vedere e a piangere il dolore mortale di tutti noi, suoi amati. Cominciò a piangere quella sofferenza di morte, di tutte le epoche, che Gli si sarebbe schiusa poi totalmente dall'alto della croce. Per questo a Betania Gli fremettero le viscere, per questo Gli fermentò in corpo un rombo che iniziò a propagarsi in quel "forte grido [fonè megàle]: Lazzaro, vieni fuori!" (Gv 11, 43). Questo stesso è il contenuto del gemito senza parole del Golgota: l'urlo dinanzi a Lazzaro sul Calvario trova compimento. Il Cristo quindi, dentro l'apice della Sua Morte, ruggì la nostra Risurrezione!
Egli nell'atto stesso del morire, lacerandoSi la gola nell'alto grido [fonén megàlen - Mc 15, 37], ordinò a tutte le generazioni:
"Oh uomini, miei amati, venite fuori! Venite fuori tutti, definitivamente, dai vostri sepolcri: Io ho vinto la Morte nella mia Carne per voi! Io ho divorato la vostra solitudine, per consegnarvi per sempre alla Compagnia della Trinità".
La Risurrezione corporale poi non ha fatto altro che promulgare nello Spirito, per i secoli, questo Editto amoroso del Padre, già decretato di fatto nella croce del Figlio.
L'urlo di Gesù sul patibolo è quindi il ruggito apocalittico dell'ultimo Leone di Giuda (Ap 5, 5). Quel gemito sulla croce è il ruggito di vittoria di Colui che ha sbranato la Morte, facendone il trofeo della Sua Gloria.
Egli morendo definitivamente urlò definitivamente la Vita.
Santa Pasqua 2011
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
"Gesù, emesso un forte grido, spirò". (Mc 15, 37)
"Ci si domanda perché [Egli] avrebbe gettato quel grido spaventoso. / Clamore che ancora risuona in ogni umanità; / O clamore culminante, eterno e valevole. / ...Il Giusto solo emise il clamore eterno. / Ma perché? Che aveva?/ ...Lui gettò il grido che risuonerà sempre, / eternamente sempre, il grido che non si spegnerà mai, / eternamente" (Charles Péguy, I Misteri).
Con questi versi grandiosi, il poeta francese si interroga sul vertiginoso e alto grido che Cristo ruggì dentro il culmine del sacrificio della propria Carne. Qual è il contenuto di questa esplosione? Quale il calibro di questo tuono che percuote ancora la storia? Perché Egli squarciò la sua gola in un grido che non aveva parole, ma solo clamore?
Tentiamo di indagare con tremore questo mistero. Quell'urlo in croce non ebbe parole perché queste erano già state proferite in precedenza; il significato di quel gemito era già stato proclamato da termini precisi che ne veicolavano il contenuto. Ma dove accadde tutto ciò?
Il Cristo iniziò a diffondere quel grido, con gli occhi straripanti di lacrime, dinanzi alla tomba del suo amato Lazzaro. Quell'urlo dinanzi al sepolcro dell'amico infatti non è un'altra cosa rispetto a quello lanciato in croce: sono un'unica dilacerazione. Questo è così vero che entrambi i gemiti, quello di Betania e quello del Calvario, vengono espressi dalla Scrittura addirittura con la stessa locuzione greca -foné megàle (forte grido)- come a suggerirci che essi sono due fenomeni di un unico evento.
Gesù dinanzi alla morte del suo Lazzaro iniziò a vedere e a piangere il dolore mortale di tutti noi, suoi amati. Cominciò a piangere quella sofferenza di morte, di tutte le epoche, che Gli si sarebbe schiusa poi totalmente dall'alto della croce. Per questo a Betania Gli fremettero le viscere, per questo Gli fermentò in corpo un rombo che iniziò a propagarsi in quel "forte grido [fonè megàle]: Lazzaro, vieni fuori!" (Gv 11, 43). Questo stesso è il contenuto del gemito senza parole del Golgota: l'urlo dinanzi a Lazzaro sul Calvario trova compimento. Il Cristo quindi, dentro l'apice della Sua Morte, ruggì la nostra Risurrezione!
Egli nell'atto stesso del morire, lacerandoSi la gola nell'alto grido [fonén megàlen - Mc 15, 37], ordinò a tutte le generazioni:
"Oh uomini, miei amati, venite fuori! Venite fuori tutti, definitivamente, dai vostri sepolcri: Io ho vinto la Morte nella mia Carne per voi! Io ho divorato la vostra solitudine, per consegnarvi per sempre alla Compagnia della Trinità".
La Risurrezione corporale poi non ha fatto altro che promulgare nello Spirito, per i secoli, questo Editto amoroso del Padre, già decretato di fatto nella croce del Figlio.
L'urlo di Gesù sul patibolo è quindi il ruggito apocalittico dell'ultimo Leone di Giuda (Ap 5, 5). Quel gemito sulla croce è il ruggito di vittoria di Colui che ha sbranato la Morte, facendone il trofeo della Sua Gloria.
Egli morendo definitivamente urlò definitivamente la Vita.
Santa Pasqua 2011
con Amicizia
cioè in Cristo
Antonio
UNA SETTIMANA FUORI DAL TEMPO ** Con la celebrazione delle Palme è iniziata domenica la Settimana più Santa dell'anno, una settimana diversa, una settimana fuori dal tempo. I nostri auguri e la preghiera è semplicemente che voi e le vostre comunità riescano a vivere in modo speciale questa settimana, per arrivare ad una vera Pasqua di risurrezione, trionfo della vita, come ci suggerisce questo bel ritaglio di P. Gianni Fanzolato:
Una settimana fuori dal tempo: settimana santa (P. Gianni Fanzolato)
Lunedì Santo: orto degli ulivi
Gesù non sei solo nell'orto degli ulivi della storia; quanti calici ricolmi,
stanno sudando sangue con te i martiri moderni, i senza voce, i migranti,
gli schiavi del potere, i poveri forzati, i bimbi affamati e le donne umiliate.
Martedì santo: il processo dei processi
Il mondo è un grande scenario dove si consumano i processi più assurdi.
Molti puntano il dito per condannare, distruggere, consumare, come il diavolo che divide.
Cristo non ha mai condannato, ha sempre recuperato chi era perduto, perché ci crede.
Mercoledì santo: lavarsi le mani
Troppi si lavano le mani per paura, per non sporcarsi, per non compromettersi, perché è comodo.
Le mani sembrano pulite, ma ti rimane il rimpianto di non aver messo il tuo granello, il tuo mattone,
il cuore rimane ingolfato, sporcato nei meandri del tuo egoismo e ti rode il rimorso dentro.
Giovedì santo: lavare i piedi
Il tuo sacrificio, la tua Messa, la tua offerta al Padre hai voluto arricchirla
con un gesto inedito di servizio al fratello e di carità profonda. Nessuno l'aveva fatto prima.
È il tuo testamento: solo lavando i piedi ai fratelli saremo autentici testimoni del tuo amore.
Venerdì santo: Dio muore nasce l'uomo
Dalla tua morte, è rinato l'uomo nuovo della speranza e dello spirito, l'uomo della resurrezione
Sabato santo: il grande silenzio
Abbiamo bisogno di fare silenzio, è urgente trovare un po' di deserto nel nostro giorno,
silenzio degli occhi, silenzio di parole, sottrarsi dal frastuono per contemplare il mistero.
Scopriremo il miracolo di un Dio che agisce nel raccoglimento e fa risorgere dalle macerie.
Domenica di pasqua: il trionfo della vita
Tutto tende a te, tutti guardano a te con speranza, giorno senza tramonto, giorno della vita.
Dalla prima pasqua parte un'onda positiva che travolge e contagia di eternità l'esistenza.
Sei il perno della storia, dell'avventura di un Dio che si è giocato tutto credendo nell'uomo.
Loreto, Pasqua 2011
inviato da Grazia
Una settimana fuori dal tempo: settimana santa (P. Gianni Fanzolato)
Lunedì Santo: orto degli ulivi
Gesù non sei solo nell'orto degli ulivi della storia; quanti calici ricolmi,
stanno sudando sangue con te i martiri moderni, i senza voce, i migranti,
gli schiavi del potere, i poveri forzati, i bimbi affamati e le donne umiliate.
Martedì santo: il processo dei processi
Il mondo è un grande scenario dove si consumano i processi più assurdi.
Molti puntano il dito per condannare, distruggere, consumare, come il diavolo che divide.
Cristo non ha mai condannato, ha sempre recuperato chi era perduto, perché ci crede.
Mercoledì santo: lavarsi le mani
Troppi si lavano le mani per paura, per non sporcarsi, per non compromettersi, perché è comodo.
Le mani sembrano pulite, ma ti rimane il rimpianto di non aver messo il tuo granello, il tuo mattone,
il cuore rimane ingolfato, sporcato nei meandri del tuo egoismo e ti rode il rimorso dentro.
Giovedì santo: lavare i piedi
Il tuo sacrificio, la tua Messa, la tua offerta al Padre hai voluto arricchirla
con un gesto inedito di servizio al fratello e di carità profonda. Nessuno l'aveva fatto prima.
È il tuo testamento: solo lavando i piedi ai fratelli saremo autentici testimoni del tuo amore.
Venerdì santo: Dio muore nasce l'uomo
Dalla tua morte, è rinato l'uomo nuovo della speranza e dello spirito, l'uomo della resurrezione
Sabato santo: il grande silenzio
Abbiamo bisogno di fare silenzio, è urgente trovare un po' di deserto nel nostro giorno,
silenzio degli occhi, silenzio di parole, sottrarsi dal frastuono per contemplare il mistero.
Scopriremo il miracolo di un Dio che agisce nel raccoglimento e fa risorgere dalle macerie.
Domenica di pasqua: il trionfo della vita
Tutto tende a te, tutti guardano a te con speranza, giorno senza tramonto, giorno della vita.
Dalla prima pasqua parte un'onda positiva che travolge e contagia di eternità l'esistenza.
Sei il perno della storia, dell'avventura di un Dio che si è giocato tutto credendo nell'uomo.
Loreto, Pasqua 2011
inviato da Grazia
RIVOLUZIONE PER ESSERE CRISTIANI CREDIBILI
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“Il Mio giogo è dolce e il Mio carico è leggero". (Mt 11,30) "La santità non consiste nel fatto che l'uomo dà tutto, ma nel fatto che il Signore prende tutto, in un certo senso anche a dispetto di colui che il Signore ha scelto". (Adrienne von Speyer)
Offrire una circostanza a Cristo non è tanto consegnarGliela.
Infatti in questo movimento del cuore serpeggia sempre la tentazione di sbarazzarci del peso di quello che ci è messo fra le mani.
Offrire una situazione a Gesù significa lasciarLo entrare in essa, in modo tale che Egli la abiti.
Per questa via Lui stesso consegna finalmente a noi le nostre contingenze, in un possesso totale di queste, prima insperato e impensabile.
con Amicizia
cioè in Lui
Antonio
Infatti in questo movimento del cuore serpeggia sempre la tentazione di sbarazzarci del peso di quello che ci è messo fra le mani.
Offrire una situazione a Gesù significa lasciarLo entrare in essa, in modo tale che Egli la abiti.
Per questa via Lui stesso consegna finalmente a noi le nostre contingenze, in un possesso totale di queste, prima insperato e impensabile.
con Amicizia
cioè in Lui
Antonio
Fratelli,
innanzi tutto grazie dell’ultimo meraviglioso momento di catechesi vissuto con Don Valerio, si percepiva qualcosa di intenso, un momento forte comunitario, parrocchia-oratorio, ma soprattutto Chiesa che vuole camminare sui passi di Gesù.
Sono personalmente felice di ritrovarsi sabato (ndr spostato a giovedi 17) davanti al Santissimo in preghiera comune, si lo sappiamo bene la vita è per tutti frenetica , piena di impegni, ma quello che voglio testimoniare è inutile ripeterlo con le parole.
L’unico approccio è quello dell’esperienza.
Con il cuore aperto, proprio per cominciare a raccontarsi, vi dico ciò che ho sperimentato sulla mia pelle quando nella mia vita ho ceduto alla lusinga di una presunta autonomia e autosufficienza operativa, seguendo i miei impulsi, i miei desideri immediati, la mia volontà. Un delirio funesto di presunzione efficientista che distrugge.
Le frane più grosse nella mia vita le ho combinate quando ho fatto assegnamento solo sulle mie risorse, sulla mia intelligenza e sul mio dinamismo.
Poi, forse un po’ tardi, mi sono accorta che, anche nelle vicissitudini , nelle problematiche giornaliere, per i dolori piccoli e grandi, nei rapporti con gli altri, con la famiglia, nel lavoro avrei potuto investire meglio le mie risorse legandomi in “cooperativa col Signore”. E’ vero che questa nuova formula aziendale costringe a perdere tempo con il “Socio” per l’impostazione concreta del lavoro, per l’elaborazione bilaterale dei progetti, per la verifica dell’attività e per la revisione contabile: però, a parte il piacere di godere dell’amicizia e della confidenza di questo Patner eccezionale debbo dire che la fatica si dimezza e gli affari tornano.
Questo è quello che volevo condivide sul tempo per la preghiera.
Concludo con il salmo 127 che avverte “ai suoi amici il Signore dà il pane nel sonno".
Un saluto a tutti
GRAZIA
innanzi tutto grazie dell’ultimo meraviglioso momento di catechesi vissuto con Don Valerio, si percepiva qualcosa di intenso, un momento forte comunitario, parrocchia-oratorio, ma soprattutto Chiesa che vuole camminare sui passi di Gesù.
Sono personalmente felice di ritrovarsi sabato (ndr spostato a giovedi 17) davanti al Santissimo in preghiera comune, si lo sappiamo bene la vita è per tutti frenetica , piena di impegni, ma quello che voglio testimoniare è inutile ripeterlo con le parole.
L’unico approccio è quello dell’esperienza.
Con il cuore aperto, proprio per cominciare a raccontarsi, vi dico ciò che ho sperimentato sulla mia pelle quando nella mia vita ho ceduto alla lusinga di una presunta autonomia e autosufficienza operativa, seguendo i miei impulsi, i miei desideri immediati, la mia volontà. Un delirio funesto di presunzione efficientista che distrugge.
Le frane più grosse nella mia vita le ho combinate quando ho fatto assegnamento solo sulle mie risorse, sulla mia intelligenza e sul mio dinamismo.
Poi, forse un po’ tardi, mi sono accorta che, anche nelle vicissitudini , nelle problematiche giornaliere, per i dolori piccoli e grandi, nei rapporti con gli altri, con la famiglia, nel lavoro avrei potuto investire meglio le mie risorse legandomi in “cooperativa col Signore”. E’ vero che questa nuova formula aziendale costringe a perdere tempo con il “Socio” per l’impostazione concreta del lavoro, per l’elaborazione bilaterale dei progetti, per la verifica dell’attività e per la revisione contabile: però, a parte il piacere di godere dell’amicizia e della confidenza di questo Patner eccezionale debbo dire che la fatica si dimezza e gli affari tornano.
Questo è quello che volevo condivide sul tempo per la preghiera.
Concludo con il salmo 127 che avverte “ai suoi amici il Signore dà il pane nel sonno".
Un saluto a tutti
GRAZIA
Non c’è che questa porta: il Mediatore ha cercato Dio Padre dentro la sua assenza dal mondo;
ha voluto per sé l’estrema sventura,
per testimoniare dell’amore di Dio per Dio, più forte della distanza...
...noi ci troviamo su questa distanza e siamo chiamati a questo amore.
Noi dobbiamo attraversare
-e Dio per primo per venire fino a noi, perché Egli viene per primo-
l’infinito spessore del tempo e dello spazio.
L’amore è qui, se possibile, più grande:
E’ grande come la distanza da superare.
(Simone WEIL - Quaderno, IV, 105 )
"Colui che discese è lo stesso che ascese al di sopra di tutti i cieli per riempire tutte le cose"(Ef 4,10)...
...per saturare con lo spazio della Sua Persona la distanza fra l'uomo e l'Eterno.
Sì, Lui ha superato nel proprio Corpo la distanza fra finito e Infinito: Egli ha ghermito limite ed Illimite, racchiudendoli nella Sua Carne.
Lui ha dilacerato Sé stesso, per unire noi al nostro Destino, al Padre buono.
Lo Spirito ci doni con forza, in questa Quaresima
la lucidità su tanto poderoso Mistero d'Amore.
SANTA QUARESIMA 2010
ha voluto per sé l’estrema sventura,
per testimoniare dell’amore di Dio per Dio, più forte della distanza...
...noi ci troviamo su questa distanza e siamo chiamati a questo amore.
Noi dobbiamo attraversare
-e Dio per primo per venire fino a noi, perché Egli viene per primo-
l’infinito spessore del tempo e dello spazio.
L’amore è qui, se possibile, più grande:
E’ grande come la distanza da superare.
(Simone WEIL - Quaderno, IV, 105 )
"Colui che discese è lo stesso che ascese al di sopra di tutti i cieli per riempire tutte le cose"(Ef 4,10)...
...per saturare con lo spazio della Sua Persona la distanza fra l'uomo e l'Eterno.
Sì, Lui ha superato nel proprio Corpo la distanza fra finito e Infinito: Egli ha ghermito limite ed Illimite, racchiudendoli nella Sua Carne.
Lui ha dilacerato Sé stesso, per unire noi al nostro Destino, al Padre buono.
Lo Spirito ci doni con forza, in questa Quaresima
la lucidità su tanto poderoso Mistero d'Amore.
SANTA QUARESIMA 2010
Salve gente. come va???
era un pò che avevo in mente di condividere con voi questa melodia e questo testo che mi hanno colpito molto......è una canzone che ho sentito per la prima volta a sanremo e dal titolo nn gli avrei dato niente, invece dopo averla ascoltata mi ha lasciato qualcosa, perchè come in tutte le cose che mi colpiscono ci ho rivisto me, il cammino che sto facendo nella vita insieme a voi e quello che stiamo cercando di far fare ai nostri ragazzi.
uesta è la canzone: http://www.youtube.com/watch?v=VZljlcm_gXE forse nn è corretta l'interpretazione che gli ho dato, ma questo è quello che ho pensato, forse in maniera troppo ottimistica.....:), comunque questo è: il mondo che ci troviamo a vivere oggi nn è favoloso per tanti aspetti, "ci fa paura e ci fa tremare......sete di potere e denaro un destino troppo amaro"......nn posso e non voglio credere che il mondo sia fatto solo di questo, infatti "la mia mente cerca qualcosa di vero e puro" che è l'Amore che è Uno solo, quello vero davvero che nn ti abbandona mai e ti permette di vincere sempre anche di fronte a quella che sembra una sconfitta, perchè infatti "la soluzione è pregare, credere di più in ciò che vale", solo così "nasceranno rose" e io aggiungerei senza spine......solo così potremo cambiare il mondo, crearne uno nuovo "senza smarrimento, ma con una speranza grande che ci fa vibrare, vivi più che mai"......perchè noi tutti siamo l'oggi più che il domani e quindi questo è quello che vogliamo fare: CREDERE, credere che l'Amore esiste e che esistono persone in grado di far cambiare rotta al mondo perchè si affidano e confidano in Lui che è la nostra Potenza sempre.....prima e oltre questa vita.......siamo SOGNATORI???Sì, ma non solo perchè noi i nostri sogni li vogliamo realizzare.......tutto questo come vi ho detto tante volte l'ho imparato e lo sto imparando da voi che mi avete fatto conoscere Don Bosco, IL SOGNATORE per eccellenza che ha plasmato tutta la sua vita per dare corpo al suo sogno......quindi GRAZIE GRAZIE COME SEMPRE:):).......tutta questa carica ed energia mi viene da Lui, ne sono sempre più consapevole, ma voi siete gli strumenti attraverso i quali Lui si è manifestato a me, per cui vi considero cmq importanti, non allo stesso livello, perchè un passo importante da fare è imparare che nn si può amare nessuno come Lui, perchè Lui ci ha amato come nessun altro, ci sto lavorando:):), ma cmq vi posso dire che VI VOGLIO BENE!!!!!!!
Un abbraccio grande in Cristo
la vekkia
era un pò che avevo in mente di condividere con voi questa melodia e questo testo che mi hanno colpito molto......è una canzone che ho sentito per la prima volta a sanremo e dal titolo nn gli avrei dato niente, invece dopo averla ascoltata mi ha lasciato qualcosa, perchè come in tutte le cose che mi colpiscono ci ho rivisto me, il cammino che sto facendo nella vita insieme a voi e quello che stiamo cercando di far fare ai nostri ragazzi.
uesta è la canzone: http://www.youtube.com/watch?v=VZljlcm_gXE forse nn è corretta l'interpretazione che gli ho dato, ma questo è quello che ho pensato, forse in maniera troppo ottimistica.....:), comunque questo è: il mondo che ci troviamo a vivere oggi nn è favoloso per tanti aspetti, "ci fa paura e ci fa tremare......sete di potere e denaro un destino troppo amaro"......nn posso e non voglio credere che il mondo sia fatto solo di questo, infatti "la mia mente cerca qualcosa di vero e puro" che è l'Amore che è Uno solo, quello vero davvero che nn ti abbandona mai e ti permette di vincere sempre anche di fronte a quella che sembra una sconfitta, perchè infatti "la soluzione è pregare, credere di più in ciò che vale", solo così "nasceranno rose" e io aggiungerei senza spine......solo così potremo cambiare il mondo, crearne uno nuovo "senza smarrimento, ma con una speranza grande che ci fa vibrare, vivi più che mai"......perchè noi tutti siamo l'oggi più che il domani e quindi questo è quello che vogliamo fare: CREDERE, credere che l'Amore esiste e che esistono persone in grado di far cambiare rotta al mondo perchè si affidano e confidano in Lui che è la nostra Potenza sempre.....prima e oltre questa vita.......siamo SOGNATORI???Sì, ma non solo perchè noi i nostri sogni li vogliamo realizzare.......tutto questo come vi ho detto tante volte l'ho imparato e lo sto imparando da voi che mi avete fatto conoscere Don Bosco, IL SOGNATORE per eccellenza che ha plasmato tutta la sua vita per dare corpo al suo sogno......quindi GRAZIE GRAZIE COME SEMPRE:):).......tutta questa carica ed energia mi viene da Lui, ne sono sempre più consapevole, ma voi siete gli strumenti attraverso i quali Lui si è manifestato a me, per cui vi considero cmq importanti, non allo stesso livello, perchè un passo importante da fare è imparare che nn si può amare nessuno come Lui, perchè Lui ci ha amato come nessun altro, ci sto lavorando:):), ma cmq vi posso dire che VI VOGLIO BENE!!!!!!!
Un abbraccio grande in Cristo
la vekkia
Ho visto un uomo, don Maurilio, che in trasparenza ha lasciato vibrare lo Sguardo di Cristo nel fondo della propria faccia
«Manca sempre qualcosa, c’è un vuoto
in ogni mio intuire. Ed è volgare,
questo non essere completo,
mai fui così volgare come in questa ansia,
questo “non avere Cristo” – una faccia
che sia strumento di un lavoro non tutto
perduto nel puro intuire in solitudine».
(Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa)
Con ardimento il genio umano, ancor prima che letterario, di Pasolini catapulta il cuore -in questi pochi versi- sul bordo vertiginoso dell'esistenza. Egli ci inietta nella memoria l'eclatanza della nostra incompiutezza, ci indica il più alto dramma dell'uomo: guardare la propria faccia e con aspra lucidità ammettere che essa da sola non sussiste. Ripeto, la vertigine nostra sta proprio in questo: scrutare la propria faccia e scorgerla quale foglia appesa di una Radice nascosta. La statura della propria umanità equivale allo spazio che la libertà lascia a questa semplice evidenza: la nostra faccia non è una voce autonoma e sorgiva, essa è eco, eco di qualcosa che viene prima e da cui dipende.
La realtà nostra però è opaca, non ne vediamo il fondo. Appena la ragione con il suo raggio limitato si addentra in essa, attraversandone la superficie, si trova con il respiro mozzato: non si riesce a scandagliarne né la fine, né il fine. Occorrerebbe che la luce della ragione potesse indagare, espansa da una potenza a raggio infinito, il fondale del nostro esistere. Occorrerebbe un accadimento capace di donarci la "realtà in trasparenza" (J. R. Tolkien).
Ebbene, a me è stato dato di vedere un uomo in cui l'opacità della realtà lasciava posto alla sua trasparenza. Ho guardato negli occhi un uomo in cui, la potenza della luce dello Spirito, sfondava il nascondimento della nascosta Radice dell'Essere. Ho toccato un uomo il cui Sguardo, incastonato nella faccia, rivelava pienamente il Volto di cui tutto è eco. Ho contemplato un fenomeno umano in cui la realtà si è mostrata in trasparenza sino al suo Fondo ultimo, sino allo Sguardo di Cristo.
Quest'uomo che, in trasparenza, mi ha dato da vedere che "la realtà è Cristo" (Col 2, 17), si chiama don Maurilio.
Possa lui pregare per noi la Trinità, affinché la nostra faccia sia la trasparenza di quel Volto, che sin dal nostro Battesimo, abita il fondo del nostro essere.
(Un seminarista)
«Manca sempre qualcosa, c’è un vuoto
in ogni mio intuire. Ed è volgare,
questo non essere completo,
mai fui così volgare come in questa ansia,
questo “non avere Cristo” – una faccia
che sia strumento di un lavoro non tutto
perduto nel puro intuire in solitudine».
(Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa)
Con ardimento il genio umano, ancor prima che letterario, di Pasolini catapulta il cuore -in questi pochi versi- sul bordo vertiginoso dell'esistenza. Egli ci inietta nella memoria l'eclatanza della nostra incompiutezza, ci indica il più alto dramma dell'uomo: guardare la propria faccia e con aspra lucidità ammettere che essa da sola non sussiste. Ripeto, la vertigine nostra sta proprio in questo: scrutare la propria faccia e scorgerla quale foglia appesa di una Radice nascosta. La statura della propria umanità equivale allo spazio che la libertà lascia a questa semplice evidenza: la nostra faccia non è una voce autonoma e sorgiva, essa è eco, eco di qualcosa che viene prima e da cui dipende.
La realtà nostra però è opaca, non ne vediamo il fondo. Appena la ragione con il suo raggio limitato si addentra in essa, attraversandone la superficie, si trova con il respiro mozzato: non si riesce a scandagliarne né la fine, né il fine. Occorrerebbe che la luce della ragione potesse indagare, espansa da una potenza a raggio infinito, il fondale del nostro esistere. Occorrerebbe un accadimento capace di donarci la "realtà in trasparenza" (J. R. Tolkien).
Ebbene, a me è stato dato di vedere un uomo in cui l'opacità della realtà lasciava posto alla sua trasparenza. Ho guardato negli occhi un uomo in cui, la potenza della luce dello Spirito, sfondava il nascondimento della nascosta Radice dell'Essere. Ho toccato un uomo il cui Sguardo, incastonato nella faccia, rivelava pienamente il Volto di cui tutto è eco. Ho contemplato un fenomeno umano in cui la realtà si è mostrata in trasparenza sino al suo Fondo ultimo, sino allo Sguardo di Cristo.
Quest'uomo che, in trasparenza, mi ha dato da vedere che "la realtà è Cristo" (Col 2, 17), si chiama don Maurilio.
Possa lui pregare per noi la Trinità, affinché la nostra faccia sia la trasparenza di quel Volto, che sin dal nostro Battesimo, abita il fondo del nostro essere.
(Un seminarista)
Santo Natale 2010
“Sono sopraffatto dall’amore che sento per l’uomo, risponde il Creatore.
Io, o Ancella e Madre mia, non ti rattristerò. Ti farò conoscere tutto ciò che sto per fare ed avrò rispetto per la tua anima, o Maria:
Il Bambino che ora porti tra le braccia, lo vedrai fra non molto con le mani inchiodate, perché ama la tua stirpe.
Colui che tu nutri, altri l’abbevereranno di fiele; colui che tu chiami Vita, dovrai tu vederlo appeso alla croce, e di Lui piangerai la morte.
Ma tu Mi stringerai in un abbraccio allorché sarò risuscitato, o Piena di grazia...
...Tutto questo sopporterò volentieri, e causa di tutto ciò è l’amore che ho sempre sentito e sento tuttora per gli uomini,
amore di un Dio che non chiede altro che di poter salvare".
A tale discorso, Maria gridò in un gemito:
“O mio grappolo, che gli empi non ti frantumino! Quando sarai cresciuto, o Figlio mio, che io non ti veda immolato!”
Ma Egli così aggiunse: “Non piangere Madre, su ciò che non sai:
se tutto questo non sarà compiuto, tutti coloro a favore dei quali mi implori periranno, o Piena di grazia”.
(Romano il Melòde, Kontakion [II, 16-17] sul Natale. VI sec.)
L'Incarnazione è l'esito di una Trinità sopraffatta:
è quel Concreto da cui si percepisce che per l'uomo l'Amore stesso si è lasciato sopraffare d'amore.
Dove questa pienezza d'amore oggi è godibile? Dove gli occhi nostri se ne possono riempire, sino a straripare in lacrime di letizia?
Ecco la risposta: Cristo -grappolo di Maria- ora è Vigna, è Incarnazione espansa, è Corpo Ecclesiale.
Possa lo Spirito darci la lucidità di comprendere che, l'incedere dell'Incarnazione di Lui è l'altro nome per dire la vita della Chiesa: sin dal Battesimo infatti, la nostra carne è propaggine del Suo Corpo, così come la Sua Persona è Radice della nostra presenza.
Io, o Ancella e Madre mia, non ti rattristerò. Ti farò conoscere tutto ciò che sto per fare ed avrò rispetto per la tua anima, o Maria:
Il Bambino che ora porti tra le braccia, lo vedrai fra non molto con le mani inchiodate, perché ama la tua stirpe.
Colui che tu nutri, altri l’abbevereranno di fiele; colui che tu chiami Vita, dovrai tu vederlo appeso alla croce, e di Lui piangerai la morte.
Ma tu Mi stringerai in un abbraccio allorché sarò risuscitato, o Piena di grazia...
...Tutto questo sopporterò volentieri, e causa di tutto ciò è l’amore che ho sempre sentito e sento tuttora per gli uomini,
amore di un Dio che non chiede altro che di poter salvare".
A tale discorso, Maria gridò in un gemito:
“O mio grappolo, che gli empi non ti frantumino! Quando sarai cresciuto, o Figlio mio, che io non ti veda immolato!”
Ma Egli così aggiunse: “Non piangere Madre, su ciò che non sai:
se tutto questo non sarà compiuto, tutti coloro a favore dei quali mi implori periranno, o Piena di grazia”.
(Romano il Melòde, Kontakion [II, 16-17] sul Natale. VI sec.)
L'Incarnazione è l'esito di una Trinità sopraffatta:
è quel Concreto da cui si percepisce che per l'uomo l'Amore stesso si è lasciato sopraffare d'amore.
Dove questa pienezza d'amore oggi è godibile? Dove gli occhi nostri se ne possono riempire, sino a straripare in lacrime di letizia?
Ecco la risposta: Cristo -grappolo di Maria- ora è Vigna, è Incarnazione espansa, è Corpo Ecclesiale.
Possa lo Spirito darci la lucidità di comprendere che, l'incedere dell'Incarnazione di Lui è l'altro nome per dire la vita della Chiesa: sin dal Battesimo infatti, la nostra carne è propaggine del Suo Corpo, così come la Sua Persona è Radice della nostra presenza.