Breve tratto della pedagogia di
don Bosco a cura di Chiara V. |
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don Govanni Bosco il prete dei giovani
Giovanni Bosco nacque il 16 agosto 1815 in una piccola frazione di Castelnuovo D'Asti, in Piemonte, chiamata popolarmente "i Becchi".
Ancora bimbo, la morte del babbo gli fece sperimentare il dolore di tanti poveri orfanelli dei quali si farà padre amoroso. Trovò però nella mamma Margherita, un esempio di vita cristiana che incise profondamente nel suo animo.
A nove anni ebbe un sogno profetico: gli parve di essere in mezzo a una moltitudine di fanciulli intenti a giocare, alcuni dei quali, però, bestemmiavano. Subito Giovannino si gettò sui bestemmiatori con pugni e calci per farli tacere; ma ecco farsi avanti un Personaggio che gli dice: "Non con le percosse, ma con la bontà e l'amore dovrai guadagnare questi tuoi amici…Io ti darò la Maestra sotto la cui guida puoi divenire sapiente, e senza la quale, ogni sapienza diviene stoltezza". Il personaggio era Gesù e la Maestra Maria Santissima, alla cui guida si abbandonò per tutta la vita e che onorò col titolo di "Ausiliatrice dei cristiani".
Fu così che Giovanni volle imparare a fare il saltimbanco, il prestigiatore, il cantore, il giocoliere, per poter attirare a sé i compagni e tenerli lontani dal peccato. "Se stanno con me, diceva alla mamma, non parlano male".
Volendosi far prete, per dedicarsi tutto alla salvezza dei fanciulli, mentre di giorno lavorava, passava le notti sui libri, finché all'età di vent'anni poté entrare in Seminario a Chieri ed essere ordinato Sacerdote a Torino nel 1841, a ventisei anni.
In quei tempi Torino era ripiena di poveri ragazzi in cerca di lavoro, orfani o abbandonati, esposti a molti pericoli per l'anima e per il corpo. Don Bosco incominciò a radunarli la Domenica, ora in una Chiesa, ora in un prato, ora in una piazza per farli giocare ed istruire nel Catechismo finché, dopo cinque anni di enormi difficoltà, riuscì a stabilirsi nel rione periferico di Valdocco e aprire il suo primo Oratorio.
In esso i ragazzi trovavano vitto e alloggio, studiavano o imparavano un mestiere, ma soprattutto imparavano ad amare il Signore: San Domenico Savio era uno di loro.
Don Bosco era amato dai suoi "birichini" (così egli li chiamava) fino all'inverosimile. A chi gli domandava il segreto di tanto ascendente rispondeva: " Con la bontà e l'amore cerco di guadagnare al Signore questi miei amici". Per essi sacrificò tutto quel poco denaro che possedeva, il suo tempo, il suo ingegno che aveva fervidissimo, la sua salute. Con essi si fece santo. Per essi ancora fondò la Congregazione Salesiana, formata da sacerdoti e laici che vogliono continuare l'opera sua e alla quale diede come "scopo principale di sostenere e difendere l'autorità del Papa".
Volendo estendere il suo apostolato anche alle fanciulle fondò, con Santa Maria Domenica Mazzarello, la Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
I Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice si sparsero in tutto il mondo al servizio dei giovani, dei poveri e dei sofferenti, con scuole di ogni ordine e grado, istituti tecnici e professionali, ospedali, dispensari, oratori e parrocchie.
Dedicò tutto il suo tempo libero, che spesso sottrasse al sonno, per scrivere e divulgare facili opuscoli per l'istruzione cristiana del popolo.
Stremato di forze per l'incessante lavoro, si ammalò gravemente. Particolare commovente: molti giovani offrirono per lui al Signore la propria vita. "…Ciò che ho fatto, l'ho fatto per il Signore…Si sarebbe potuto fare di più…Ma faranno i miei figli...La nostra Congregazione è condotta da Dio e protetta da Maria Ausiliatrice".
Spirava il 31 gennaio 1888, nella sua povera cameretta di Valdocco, all'età di 72 anni.
Il 1 Aprile 1934, Pio XI, che ebbe la fortuna di conoscerlo personalmente, lo proclamò Santo. Scritto tratto dal sito http://www.sdb.org
Ancora bimbo, la morte del babbo gli fece sperimentare il dolore di tanti poveri orfanelli dei quali si farà padre amoroso. Trovò però nella mamma Margherita, un esempio di vita cristiana che incise profondamente nel suo animo.
A nove anni ebbe un sogno profetico: gli parve di essere in mezzo a una moltitudine di fanciulli intenti a giocare, alcuni dei quali, però, bestemmiavano. Subito Giovannino si gettò sui bestemmiatori con pugni e calci per farli tacere; ma ecco farsi avanti un Personaggio che gli dice: "Non con le percosse, ma con la bontà e l'amore dovrai guadagnare questi tuoi amici…Io ti darò la Maestra sotto la cui guida puoi divenire sapiente, e senza la quale, ogni sapienza diviene stoltezza". Il personaggio era Gesù e la Maestra Maria Santissima, alla cui guida si abbandonò per tutta la vita e che onorò col titolo di "Ausiliatrice dei cristiani".
Fu così che Giovanni volle imparare a fare il saltimbanco, il prestigiatore, il cantore, il giocoliere, per poter attirare a sé i compagni e tenerli lontani dal peccato. "Se stanno con me, diceva alla mamma, non parlano male".
Volendosi far prete, per dedicarsi tutto alla salvezza dei fanciulli, mentre di giorno lavorava, passava le notti sui libri, finché all'età di vent'anni poté entrare in Seminario a Chieri ed essere ordinato Sacerdote a Torino nel 1841, a ventisei anni.
In quei tempi Torino era ripiena di poveri ragazzi in cerca di lavoro, orfani o abbandonati, esposti a molti pericoli per l'anima e per il corpo. Don Bosco incominciò a radunarli la Domenica, ora in una Chiesa, ora in un prato, ora in una piazza per farli giocare ed istruire nel Catechismo finché, dopo cinque anni di enormi difficoltà, riuscì a stabilirsi nel rione periferico di Valdocco e aprire il suo primo Oratorio.
In esso i ragazzi trovavano vitto e alloggio, studiavano o imparavano un mestiere, ma soprattutto imparavano ad amare il Signore: San Domenico Savio era uno di loro.
Don Bosco era amato dai suoi "birichini" (così egli li chiamava) fino all'inverosimile. A chi gli domandava il segreto di tanto ascendente rispondeva: " Con la bontà e l'amore cerco di guadagnare al Signore questi miei amici". Per essi sacrificò tutto quel poco denaro che possedeva, il suo tempo, il suo ingegno che aveva fervidissimo, la sua salute. Con essi si fece santo. Per essi ancora fondò la Congregazione Salesiana, formata da sacerdoti e laici che vogliono continuare l'opera sua e alla quale diede come "scopo principale di sostenere e difendere l'autorità del Papa".
Volendo estendere il suo apostolato anche alle fanciulle fondò, con Santa Maria Domenica Mazzarello, la Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
I Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice si sparsero in tutto il mondo al servizio dei giovani, dei poveri e dei sofferenti, con scuole di ogni ordine e grado, istituti tecnici e professionali, ospedali, dispensari, oratori e parrocchie.
Dedicò tutto il suo tempo libero, che spesso sottrasse al sonno, per scrivere e divulgare facili opuscoli per l'istruzione cristiana del popolo.
Stremato di forze per l'incessante lavoro, si ammalò gravemente. Particolare commovente: molti giovani offrirono per lui al Signore la propria vita. "…Ciò che ho fatto, l'ho fatto per il Signore…Si sarebbe potuto fare di più…Ma faranno i miei figli...La nostra Congregazione è condotta da Dio e protetta da Maria Ausiliatrice".
Spirava il 31 gennaio 1888, nella sua povera cameretta di Valdocco, all'età di 72 anni.
Il 1 Aprile 1934, Pio XI, che ebbe la fortuna di conoscerlo personalmente, lo proclamò Santo. Scritto tratto dal sito http://www.sdb.org
Per approfondire |
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PREGHIERA A DON BOSCO
di don Pascual Chavez 2011
Padre e Maestro della gioventù,
San Giovanni Bosco,
docile ai doni dello Spirito
e aperto alle realtà del tuo tempo
sei stato per i giovani,
soprattutto per i piccoli e i poveri,
segno dell'amore e della predilezione di Dio.
Sii nostra guida nel cammino di amicizia
con il Signore Gesù,
in modo che scopriamo in Lui e nel suo Vangelo
il senso della nostra vita
e la fonte della vera felicità.
Aiutaci a rispondere con generosità
alla vocazione che abbiamo ricevuta da Dio,
per essere nella vita quotidiana
costruttori di comunione,
e collaborare con entusiasmo,
in comunione con tutta la Chiesa,
all'edificazione della civiltà dell'amore.
Ottienici la grazia della perseveranza
nel vivere una misura alta di vita cristiana,
secondo lo spirito delle beatitudini;
e fa' che, guidati da Maria Ausiliatrice,
possiamo trovarci un giorno con te
nella grande famiglia del cielo. Amen
di don Pascual Chavez 2011
Padre e Maestro della gioventù,
San Giovanni Bosco,
docile ai doni dello Spirito
e aperto alle realtà del tuo tempo
sei stato per i giovani,
soprattutto per i piccoli e i poveri,
segno dell'amore e della predilezione di Dio.
Sii nostra guida nel cammino di amicizia
con il Signore Gesù,
in modo che scopriamo in Lui e nel suo Vangelo
il senso della nostra vita
e la fonte della vera felicità.
Aiutaci a rispondere con generosità
alla vocazione che abbiamo ricevuta da Dio,
per essere nella vita quotidiana
costruttori di comunione,
e collaborare con entusiasmo,
in comunione con tutta la Chiesa,
all'edificazione della civiltà dell'amore.
Ottienici la grazia della perseveranza
nel vivere una misura alta di vita cristiana,
secondo lo spirito delle beatitudini;
e fa' che, guidati da Maria Ausiliatrice,
possiamo trovarci un giorno con te
nella grande famiglia del cielo. Amen
IL SISTEMA PREVENTIVO DI DON BOSCO
Più volte fui richiesto di esprimere verbalmente o per iscritto alcuni pensieri attorno al così detto sistema preventivo, che si suole usare nelle nostre Case. Per mancanza di tempo non ho potuto finora appagare questo desiderio, e presentemente volendo stampare il regolamento che finora si è quasi sempre usato tradizionalmente, credo opportuno darne qui un cenno che però sarà come l'indice di un'operetta che vo preparando, se Dio mi darà tanto di vita da poterla terminare, e ciò unicamente per giovare alla difficile arte della giovanile educazione. Dirò dunque: in che cosa consiste il sistema preventivo e perché si deve preferire; sua pratica applicazione, e suoi vantaggi.
I. In che cosa consiste il sistema preventivo e perché si deve preferire.
Due sono i sistemi in ogni tempo usati nell'educazione della gioventù: preventivo e repressivo. Il sistema repressivo consiste nel far conoscere la legge ai sudditi, poi sorvegliare per conoscerne i trasgressori ed infliggere, ove sia necessario, il meritato castigo. In questo sistema le parole e l'aspetto del superiore debbono sempre essere severe e piuttosto minaccevoli, ed egli stesso deve evitare ogni familiarità coi dipendenti. Il Direttore per accrescere valore alla sua autorità dovrà trovarsi di rado tra i suoi soggetti e per lo più solo quando si tratta di punire o di minacciare. Questo sistema è facile, meno faticoso; giova specialmente nella milizia e in generale tra le persone adulte ed assennate che devono da se stesse essere in grado di sapere e ricordare ciò che è conforme alle leggi e alle altre prescrizioni.
Diverso e, direi, opposto è il sistema preventivo. Esso consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto e poi sorvegliare in modo, che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l'occhio vigile del Direttore o degli assistenti, che come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente correggano, che è quanto dire: mettere gli allievi nella impossibilità di commettere mancanze. Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione e sopra l'amorevolezza; perciò esclude ogni castigo violento e cerca di tenere lontano gli stessi leggeri castighi.
Sembra che questo sia preferibile per le seguenti ragioni:
1) L'allievo preventivamente avvisato non resta avvilito per le mancanze commesse, come avviene quando esse vengono deferite al superiore. Né mai si adira per la correzione fatta o per il castigo minacciato oppure inflitto, perché in esso vi è sempre un avviso amichevole e preventivo che lo ragiona; per lo più riesce a guadagnare il cuore, cosicché l'allievo conosce la necessità del castigo e quasi lo desidera.
2) La ragione più essenziale è la mobilità giovanile, che in un momento dimentica le regole disciplinari, i castighi che quelle minacciano. Perciò spesso un fanciullo si rende colpevole e meritevole di una pena, cui egli non ha badato, che niente affatto ricordava nell'atto del fallo commesso e che avrebbe per certo evitato se una voce amica l'avesse ammonito.
3) Il sistema repressivo può impedire un disordine, ma difficilmente farà migliori i delinquenti. Si è osservato che i giovanetti non dimenticano i castighi subiti; per lo più conservano amarezza con desiderio di scuotere il giogo e anche di farne vendetta. Sembra talora che non ci badino, ma chi tiene dietro ai loro andamenti conosce che sono terribili le reminiscenze della gioventù; dimenticano facilmente le punizioni dei genitori, ma assai difficilmente quelle degli educatori. Vi sono fatti di alcuni che in vecchiaia vendicarono brutalmente certi castighi toccati giustamente in tempo di loro
educazione. Al contrario il sistema preventivo rende amico l'allievo, che nell'assistente trova un benefattore che lo avvisa, vuol farlo buono, liberarlo dai dispiaceri, dai castighi, dal disonore.
4) Il sistema preventivo rende avvisato l'allievo in modo che l'educatore potrà tuttora parlare col linguaggio del cuore sia in tempo della educazione, sia dopo di essa. L'educatore, guadagnato il cuore del suo protetto, potrà esercitare sopra di lui un grande influsso, avvisarlo, consigliarlo ed anche correggerlo anche quando si troverà negli impieghi, negli uffizi civili e nel commercio. Per queste e molte altre ragioni, pare che il sistema preventivo debba prevalere sul repressivo.
II. Applicazione del sistema preventivo
La pratica di questo sistema è tutta appoggiata sopra le parole di S. Paolo che dice: «Caritas benigna est, patiens est; omnia suffert, omnia sperat, omnia sustinet: La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera e sostiene qualunque disturbo» (1Cor 13, 1-8). Perciò soltanto il cristiano può con successo applicare il sistema preventivo. Ragione e Religione sono gli strumenti di cui deve costantemente far uso l'educatore, insegnarli, egli stesso praticarli se vuol essere ubbidito ed ottenere il suo fine.
1) Il Direttore pertanto deve essere tutto consacrato a' suoi educandi, né mai assumersi impegni che lo allontanino dal suo ufficio; anzi trovarsi sempre coi suoi allievi tutte le volte che non sono obbligatamente legati da qualche occupazione, eccetto che siano da altri debitamente assistiti.
2) I maestri, i capi d'arte, gli assistenti devono essere di moralità conosciuta. Studino di evitare come la peste ogni sorta di affezioni o amicizie particolari con gli allievi, e si ricordino che il traviamento di uno solo può compromettere un istituto educativo. Si faccia in modo che gli allievi non siano mai soli. Per quanto è possibile gli assistenti li precedano nel luogo dove si devono raccogliere; si trattengano con loro fino a che siano da altri assistiti. Non li lascino mai disoccupati.
3) Si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento. La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino, le passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità ed alla sanità. Si badi soltanto che la materia del trattenimento, le persone che intervengono, i discorsi che hanno luogo non siano biasimevoli. «Fate tutto quello che volete - diceva il grande amico della gioventù S. Filippo Neri, - a me basta che non facciate peccati».
4) La frequente confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edificio educativo, da cui si vuole tener lontana la minaccia e la sferza. Non obbligare mai i giovanetti alla frequenza dei santi sacramenti, ma soltanto incoraggiarli e porgere loro comodità di approfittarne. Nei casi poi di esercizi spirituali, tridui, novene, predicazioni, catechismi si faccia rilevare la bellezza, la grandezza, la santità di quella religione che propone dei mezzi così facili, così utili alla civile società, alla tranquillità del cuore, alla salvezza dell'anima, come appunto i santi
sacramenti. In questo modo i fanciulli restano spontaneamente invogliati a queste pratiche di pietà, vi si accostano volentieri, con piacere e con frutto.
5) Si usi la massima sorveglianza per impedire che nell'Istituto siano introdotti compagni, libri o persone che facciano cattivi discorsi. La scelta d'un buon portinaio è un tesoro per una casa di educazione.
6) Ogni sera dopo le ordinarie preghiere, e prima che gli allievi vadano a riposo, il Direttore, o chi per esso, indirizzi alcune affettuose parole in pubblico dando qualche avviso o consiglio intorno a cose da farsi o da evitare e studi di ricavare le massime da fatti avvenuti in giornata nell'Istituto o fuori; ma il suo sermone non oltrepassi mai i due o tre minuti. Questa è la chiave della moralità, del buon andamento e del buon successo dell'educazione.
7) Si tenga lontano come la peste l'opinione di taluno che vorrebbe differire la prima comunione ad un'età troppo inoltrata, quando per lo più il demonio ha preso possesso del cuore di un giovanetto a danno incalcolabile della sua innocenza. Secondo la disciplina della Chiesa primitiva si solevano dare ai bambini le ostie consacrate che sopravanzavano nella comunione pasquale. Questo serve a farci conoscere quanto la Chiesa ami che i fanciulli siano ammessi per tempo alla santa comunione. Quando un giovanetto sa distinguere tra pane e pane e palesa sufficiente istruzione, non si badi più all'età e venga il Sovrano Celeste a regnare in quell'anima benedetta.
8) I catechisti raccomandano la frequente comunione, S. Filippo Neri la consigliava ogni otto giorni ed anche più spesso. Il Concilio Tridentino dice chiaro che desidera sommamente che ogni fedele cristiano quando va ad ascoltare la santa Messa faccia anche la comunione. Ma questa comunione non sia solo spirituale, bensì sacramentale, affinché si ricavi maggior frutto da questo augusto e divino sacrificio (Concilio Trid., sess. XXII, cap. VI).
III. Utilità del sistema preventivo
Taluno dirà che questo sistema è difficile in pratica. Osservo che da parte degli allievi riesce assai più facile, più soddisfacente, più vantaggioso. Da parte poi degli educatori racchiude alcune difficoltà che però restano diminuite, se l'educatore si mette con zelo all'opera sua. L'educatore è un individuo consacrato al bene dei suoi allievi; perciò deve essere pronto ad affrontare ogni disturbo, ogni fatica per conseguire il suo fine, che è la civile, morale, scientifica educazione dei suoi allievi. Oltre ai vantaggi sopra esposti si aggiunge ancora qui che:
1) L'allievo sarà sempre pieno di rispetto verso l'educatore e ricorderà sempre con piacere la direzione avuta, considerando tuttora quali padri e fratelli i suoi maestri e gli altri superiori. Dove vanno questi allievi per lo più sono la consolazione della famiglia, utili cittadini e buoni cristiani.
2) Qualunque sia il carattere, l'indole, lo stato morale di un allievo all'epoca della sua accettazione, i parenti possono vivere sicuri che il loro figlio non potrà peggiorare, si può dare per certo che si otterrà sempre qualche miglioramento. Anzi certi fanciulli che per molto tempo furono il flagello dei parenti e perfino rifiutati dalle case correzionali, coltivati secondo questi principi, cambiarono indole, carattere, si diedero ad una vita costumata e presentemente occupano onorati uffici nella società, divenuti così il sostegno della famiglia, decoro del paese in cui dimorano.
3) Gli allievi che per avventura entrassero in un istituto con tristi abitudini non possono danneggiare i loro compagni. Né i giovanetti buoni potranno ricevere danno da costoro, perché non c'è né tempo, né luogo, né opportunità, perché l'assistente, che supponiamo presente, ci porrebbe subito rimedio.
IV. Una parola sui castighi
Che regola tenere nell'infliggere castighi? Dove è possibile, non si faccia mai uso di castighi; dove la necessità lo chiede, si ritenga quanto segue:
1) L'educatore tra gli allievi cerchi di farsi amare, se vuole farsi temere. In questo caso la sottrazione di benevolenza è un castigo che eccita la emulazione, dà coraggio e non avvilisce mai.
2) Presso ai giovanetti è castigo quello che si fa servire per castigo. Si è osservato che uno sguardo non amorevole sopra taluni produce maggior effetto che non farebbe uno schiaffo. La lode quando una cosa è ben fatta, il biasimo quando vi è trascuratezza, sono già un premio o un castigo.
3) Eccettuati rarissimi casi, le correzioni e i castighi non si diano mai in pubblico, ma privatamente, lungi dai compagni; si usi massima prudenza e pazienza per fare che l'allievo comprenda il suo torto con la ragione e con la religione.
4) Il percuotere in qualunque modo, il mettere in ginocchio con posizione dolorosa, il tirar le orecchie ed altri castighi simili si devono assolutamente evitare, perché sono proibiti dalle leggi civili, irritano grandemente i giovani ed avviliscono l'educatore.
5) Il Direttore faccia ben conoscere le regole, i premi e i castighi stabiliti dalle leggi di disciplina, affinché l'allievo non si possa scusare dicendo: Non sapevo che ciò fosse proibito. Se nelle nostre Case si metterà in pratica questo sistema, io credo che potremo ottenere grandi vantaggi senza venire né alla sferza, né ad altri violenti castighi. Da circa quarant'anni tratto con la gioventù: non mi ricordo d'aver usato castighi di sorta, e con l'aiuto di Dio ho sempre ottenuto non solo quanto era di dovere, ma anche quello che semplicemente desideravo; ciò da questi stessi fanciulli, per i quali sembrava perduta la speranza di buona riuscita.
Don Bosco
Più volte fui richiesto di esprimere verbalmente o per iscritto alcuni pensieri attorno al così detto sistema preventivo, che si suole usare nelle nostre Case. Per mancanza di tempo non ho potuto finora appagare questo desiderio, e presentemente volendo stampare il regolamento che finora si è quasi sempre usato tradizionalmente, credo opportuno darne qui un cenno che però sarà come l'indice di un'operetta che vo preparando, se Dio mi darà tanto di vita da poterla terminare, e ciò unicamente per giovare alla difficile arte della giovanile educazione. Dirò dunque: in che cosa consiste il sistema preventivo e perché si deve preferire; sua pratica applicazione, e suoi vantaggi.
I. In che cosa consiste il sistema preventivo e perché si deve preferire.
Due sono i sistemi in ogni tempo usati nell'educazione della gioventù: preventivo e repressivo. Il sistema repressivo consiste nel far conoscere la legge ai sudditi, poi sorvegliare per conoscerne i trasgressori ed infliggere, ove sia necessario, il meritato castigo. In questo sistema le parole e l'aspetto del superiore debbono sempre essere severe e piuttosto minaccevoli, ed egli stesso deve evitare ogni familiarità coi dipendenti. Il Direttore per accrescere valore alla sua autorità dovrà trovarsi di rado tra i suoi soggetti e per lo più solo quando si tratta di punire o di minacciare. Questo sistema è facile, meno faticoso; giova specialmente nella milizia e in generale tra le persone adulte ed assennate che devono da se stesse essere in grado di sapere e ricordare ciò che è conforme alle leggi e alle altre prescrizioni.
Diverso e, direi, opposto è il sistema preventivo. Esso consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto e poi sorvegliare in modo, che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l'occhio vigile del Direttore o degli assistenti, che come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente correggano, che è quanto dire: mettere gli allievi nella impossibilità di commettere mancanze. Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione e sopra l'amorevolezza; perciò esclude ogni castigo violento e cerca di tenere lontano gli stessi leggeri castighi.
Sembra che questo sia preferibile per le seguenti ragioni:
1) L'allievo preventivamente avvisato non resta avvilito per le mancanze commesse, come avviene quando esse vengono deferite al superiore. Né mai si adira per la correzione fatta o per il castigo minacciato oppure inflitto, perché in esso vi è sempre un avviso amichevole e preventivo che lo ragiona; per lo più riesce a guadagnare il cuore, cosicché l'allievo conosce la necessità del castigo e quasi lo desidera.
2) La ragione più essenziale è la mobilità giovanile, che in un momento dimentica le regole disciplinari, i castighi che quelle minacciano. Perciò spesso un fanciullo si rende colpevole e meritevole di una pena, cui egli non ha badato, che niente affatto ricordava nell'atto del fallo commesso e che avrebbe per certo evitato se una voce amica l'avesse ammonito.
3) Il sistema repressivo può impedire un disordine, ma difficilmente farà migliori i delinquenti. Si è osservato che i giovanetti non dimenticano i castighi subiti; per lo più conservano amarezza con desiderio di scuotere il giogo e anche di farne vendetta. Sembra talora che non ci badino, ma chi tiene dietro ai loro andamenti conosce che sono terribili le reminiscenze della gioventù; dimenticano facilmente le punizioni dei genitori, ma assai difficilmente quelle degli educatori. Vi sono fatti di alcuni che in vecchiaia vendicarono brutalmente certi castighi toccati giustamente in tempo di loro
educazione. Al contrario il sistema preventivo rende amico l'allievo, che nell'assistente trova un benefattore che lo avvisa, vuol farlo buono, liberarlo dai dispiaceri, dai castighi, dal disonore.
4) Il sistema preventivo rende avvisato l'allievo in modo che l'educatore potrà tuttora parlare col linguaggio del cuore sia in tempo della educazione, sia dopo di essa. L'educatore, guadagnato il cuore del suo protetto, potrà esercitare sopra di lui un grande influsso, avvisarlo, consigliarlo ed anche correggerlo anche quando si troverà negli impieghi, negli uffizi civili e nel commercio. Per queste e molte altre ragioni, pare che il sistema preventivo debba prevalere sul repressivo.
II. Applicazione del sistema preventivo
La pratica di questo sistema è tutta appoggiata sopra le parole di S. Paolo che dice: «Caritas benigna est, patiens est; omnia suffert, omnia sperat, omnia sustinet: La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera e sostiene qualunque disturbo» (1Cor 13, 1-8). Perciò soltanto il cristiano può con successo applicare il sistema preventivo. Ragione e Religione sono gli strumenti di cui deve costantemente far uso l'educatore, insegnarli, egli stesso praticarli se vuol essere ubbidito ed ottenere il suo fine.
1) Il Direttore pertanto deve essere tutto consacrato a' suoi educandi, né mai assumersi impegni che lo allontanino dal suo ufficio; anzi trovarsi sempre coi suoi allievi tutte le volte che non sono obbligatamente legati da qualche occupazione, eccetto che siano da altri debitamente assistiti.
2) I maestri, i capi d'arte, gli assistenti devono essere di moralità conosciuta. Studino di evitare come la peste ogni sorta di affezioni o amicizie particolari con gli allievi, e si ricordino che il traviamento di uno solo può compromettere un istituto educativo. Si faccia in modo che gli allievi non siano mai soli. Per quanto è possibile gli assistenti li precedano nel luogo dove si devono raccogliere; si trattengano con loro fino a che siano da altri assistiti. Non li lascino mai disoccupati.
3) Si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento. La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino, le passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità ed alla sanità. Si badi soltanto che la materia del trattenimento, le persone che intervengono, i discorsi che hanno luogo non siano biasimevoli. «Fate tutto quello che volete - diceva il grande amico della gioventù S. Filippo Neri, - a me basta che non facciate peccati».
4) La frequente confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edificio educativo, da cui si vuole tener lontana la minaccia e la sferza. Non obbligare mai i giovanetti alla frequenza dei santi sacramenti, ma soltanto incoraggiarli e porgere loro comodità di approfittarne. Nei casi poi di esercizi spirituali, tridui, novene, predicazioni, catechismi si faccia rilevare la bellezza, la grandezza, la santità di quella religione che propone dei mezzi così facili, così utili alla civile società, alla tranquillità del cuore, alla salvezza dell'anima, come appunto i santi
sacramenti. In questo modo i fanciulli restano spontaneamente invogliati a queste pratiche di pietà, vi si accostano volentieri, con piacere e con frutto.
5) Si usi la massima sorveglianza per impedire che nell'Istituto siano introdotti compagni, libri o persone che facciano cattivi discorsi. La scelta d'un buon portinaio è un tesoro per una casa di educazione.
6) Ogni sera dopo le ordinarie preghiere, e prima che gli allievi vadano a riposo, il Direttore, o chi per esso, indirizzi alcune affettuose parole in pubblico dando qualche avviso o consiglio intorno a cose da farsi o da evitare e studi di ricavare le massime da fatti avvenuti in giornata nell'Istituto o fuori; ma il suo sermone non oltrepassi mai i due o tre minuti. Questa è la chiave della moralità, del buon andamento e del buon successo dell'educazione.
7) Si tenga lontano come la peste l'opinione di taluno che vorrebbe differire la prima comunione ad un'età troppo inoltrata, quando per lo più il demonio ha preso possesso del cuore di un giovanetto a danno incalcolabile della sua innocenza. Secondo la disciplina della Chiesa primitiva si solevano dare ai bambini le ostie consacrate che sopravanzavano nella comunione pasquale. Questo serve a farci conoscere quanto la Chiesa ami che i fanciulli siano ammessi per tempo alla santa comunione. Quando un giovanetto sa distinguere tra pane e pane e palesa sufficiente istruzione, non si badi più all'età e venga il Sovrano Celeste a regnare in quell'anima benedetta.
8) I catechisti raccomandano la frequente comunione, S. Filippo Neri la consigliava ogni otto giorni ed anche più spesso. Il Concilio Tridentino dice chiaro che desidera sommamente che ogni fedele cristiano quando va ad ascoltare la santa Messa faccia anche la comunione. Ma questa comunione non sia solo spirituale, bensì sacramentale, affinché si ricavi maggior frutto da questo augusto e divino sacrificio (Concilio Trid., sess. XXII, cap. VI).
III. Utilità del sistema preventivo
Taluno dirà che questo sistema è difficile in pratica. Osservo che da parte degli allievi riesce assai più facile, più soddisfacente, più vantaggioso. Da parte poi degli educatori racchiude alcune difficoltà che però restano diminuite, se l'educatore si mette con zelo all'opera sua. L'educatore è un individuo consacrato al bene dei suoi allievi; perciò deve essere pronto ad affrontare ogni disturbo, ogni fatica per conseguire il suo fine, che è la civile, morale, scientifica educazione dei suoi allievi. Oltre ai vantaggi sopra esposti si aggiunge ancora qui che:
1) L'allievo sarà sempre pieno di rispetto verso l'educatore e ricorderà sempre con piacere la direzione avuta, considerando tuttora quali padri e fratelli i suoi maestri e gli altri superiori. Dove vanno questi allievi per lo più sono la consolazione della famiglia, utili cittadini e buoni cristiani.
2) Qualunque sia il carattere, l'indole, lo stato morale di un allievo all'epoca della sua accettazione, i parenti possono vivere sicuri che il loro figlio non potrà peggiorare, si può dare per certo che si otterrà sempre qualche miglioramento. Anzi certi fanciulli che per molto tempo furono il flagello dei parenti e perfino rifiutati dalle case correzionali, coltivati secondo questi principi, cambiarono indole, carattere, si diedero ad una vita costumata e presentemente occupano onorati uffici nella società, divenuti così il sostegno della famiglia, decoro del paese in cui dimorano.
3) Gli allievi che per avventura entrassero in un istituto con tristi abitudini non possono danneggiare i loro compagni. Né i giovanetti buoni potranno ricevere danno da costoro, perché non c'è né tempo, né luogo, né opportunità, perché l'assistente, che supponiamo presente, ci porrebbe subito rimedio.
IV. Una parola sui castighi
Che regola tenere nell'infliggere castighi? Dove è possibile, non si faccia mai uso di castighi; dove la necessità lo chiede, si ritenga quanto segue:
1) L'educatore tra gli allievi cerchi di farsi amare, se vuole farsi temere. In questo caso la sottrazione di benevolenza è un castigo che eccita la emulazione, dà coraggio e non avvilisce mai.
2) Presso ai giovanetti è castigo quello che si fa servire per castigo. Si è osservato che uno sguardo non amorevole sopra taluni produce maggior effetto che non farebbe uno schiaffo. La lode quando una cosa è ben fatta, il biasimo quando vi è trascuratezza, sono già un premio o un castigo.
3) Eccettuati rarissimi casi, le correzioni e i castighi non si diano mai in pubblico, ma privatamente, lungi dai compagni; si usi massima prudenza e pazienza per fare che l'allievo comprenda il suo torto con la ragione e con la religione.
4) Il percuotere in qualunque modo, il mettere in ginocchio con posizione dolorosa, il tirar le orecchie ed altri castighi simili si devono assolutamente evitare, perché sono proibiti dalle leggi civili, irritano grandemente i giovani ed avviliscono l'educatore.
5) Il Direttore faccia ben conoscere le regole, i premi e i castighi stabiliti dalle leggi di disciplina, affinché l'allievo non si possa scusare dicendo: Non sapevo che ciò fosse proibito. Se nelle nostre Case si metterà in pratica questo sistema, io credo che potremo ottenere grandi vantaggi senza venire né alla sferza, né ad altri violenti castighi. Da circa quarant'anni tratto con la gioventù: non mi ricordo d'aver usato castighi di sorta, e con l'aiuto di Dio ho sempre ottenuto non solo quanto era di dovere, ma anche quello che semplicemente desideravo; ciò da questi stessi fanciulli, per i quali sembrava perduta la speranza di buona riuscita.
Don Bosco
dalle Memorie Biografiche Vol.II, pag. 129 -
"Frattanto don Bosco cercava ogni mezzo per rendere più amene che poteva le radunanze domenicali. Egli sapeva toccare discretamente l'organo ed pianoforte, aveva studiato per intero alcuni metodi dei più rinomati per imparare il suono ed il canto, la sua voce si prestava a qualunque ottava. Avvicinandosi pertanto la festa del Santo Natale, volle preparare una canzoncina in lode del Divin Pargoletto. La poesia fu composta e scritta sul davanzale di un coretto della Chiesa di S. Francesco. Esso la mise in musica. Ecco i versi:
Ah! si canti in suon di giubilo,
Ah! si canti in suon d'amor.
O fedeli,è nato il tenero
Nostro Dio Salvator.
Oh come accesa splende ogni stella:
La luna mostrasi lucente e bella
e delle tenebre squarciasi il vel.
Schiere serafiche che il ciel disserra
Gridan con giubilo:
sia pace in terra!
Altre rispondono: sia gloria in ciel
Vieni, vieni, o pace amata,
Nei cuor nostri a riposar.
O bambino in mezzo a noi
Ti vogliamo conservar!
...d. Bosco si accinse a farla imparare ai suoi giovanotti privi di ogni istruzione e ignari delle note. La sua perseveranza superò ogni ostacolo. Non avendo da principio luogo al Convitto per simili esercitazioni, usciva di casa e la gente fermavasi stupita al vedere prete in mezzo a sei o otto giovanetti che, tra via Doragrossa e Piazza Milano passeggiavano ripetendo a bassa voce una canzone […] Fu cantata nel 1842 la prima volta ai Domenicani e alla Consolata, dirigendo don Bosco la piccola orchestra e suonando l'organo. I torinesi non assuefatti in allora ad udire in orchestra le voci bianche dei fanciulli ne furono entusiasmati, poiché soli i maestri, colle loro voci robuste e talvolta poco simpatiche, a quei tempi cantavano nelle funzioni di chiesa."
"Frattanto don Bosco cercava ogni mezzo per rendere più amene che poteva le radunanze domenicali. Egli sapeva toccare discretamente l'organo ed pianoforte, aveva studiato per intero alcuni metodi dei più rinomati per imparare il suono ed il canto, la sua voce si prestava a qualunque ottava. Avvicinandosi pertanto la festa del Santo Natale, volle preparare una canzoncina in lode del Divin Pargoletto. La poesia fu composta e scritta sul davanzale di un coretto della Chiesa di S. Francesco. Esso la mise in musica. Ecco i versi:
Ah! si canti in suon di giubilo,
Ah! si canti in suon d'amor.
O fedeli,è nato il tenero
Nostro Dio Salvator.
Oh come accesa splende ogni stella:
La luna mostrasi lucente e bella
e delle tenebre squarciasi il vel.
Schiere serafiche che il ciel disserra
Gridan con giubilo:
sia pace in terra!
Altre rispondono: sia gloria in ciel
Vieni, vieni, o pace amata,
Nei cuor nostri a riposar.
O bambino in mezzo a noi
Ti vogliamo conservar!
...d. Bosco si accinse a farla imparare ai suoi giovanotti privi di ogni istruzione e ignari delle note. La sua perseveranza superò ogni ostacolo. Non avendo da principio luogo al Convitto per simili esercitazioni, usciva di casa e la gente fermavasi stupita al vedere prete in mezzo a sei o otto giovanetti che, tra via Doragrossa e Piazza Milano passeggiavano ripetendo a bassa voce una canzone […] Fu cantata nel 1842 la prima volta ai Domenicani e alla Consolata, dirigendo don Bosco la piccola orchestra e suonando l'organo. I torinesi non assuefatti in allora ad udire in orchestra le voci bianche dei fanciulli ne furono entusiasmati, poiché soli i maestri, colle loro voci robuste e talvolta poco simpatiche, a quei tempi cantavano nelle funzioni di chiesa."